ORONTA,regina delle Amazzoni
di Marcello Barberio
Dalla complessa vicenda umana e letteraria del gesuita Agazio Di Somma (Simeri 1591- Catanzaro 1686), emerge (1) che, prima di essere nominato vescovo di Catanzaro nel 1664, egli dovette ottenere,nel 1627,la dispensa pontificia a ricevere gli ordini sacri, essendosi macchiato di omicidio, in gioventù.La sua notorietà, però, resta legata alla copiosa produzione letteraria e, in particolare, al poema in ottave “Dell’America, canti cinque” (2), a lungo bollato dalla critica come una composizione poetica di tipo encomiastico e celebrativo, opera di uno dei tanti verseggiatori vaporosi, carenti di sentimento e di originalità di pensiero, affascinati dalle scopertee dalle conquiste transoceaniche.
Da qualche tempo, però,si registrano diversi tentativi di revisione critica del barocco e del Seicento letterario, con la rivalutazione delle “poesie petrose” di Tommaso Campanella, del “suono basso” dei versi dialettali di Donnu Pantu (Domenico Piro) e delle “melodie poetiche” che preludono al melodramma, a Vincenzo Gravina e al Metastasio,passando per la poetica del genere eroicomico/ burlesco di Alessandro Tassoni(La Secchia Rapita) e per la satira di Salvator Rosa.(3)Per certo, Di Somma non può essere considerato un semplice e vuoto rimatore, uno dei tanti letterati dell’Accademia degli Umoristi, un replicante del suo protettore, magari ossequioso delle concezioni moralistiche tridentine e della Controriforma.Né può stupire il fatto che diversi sui contemporanei lo ricordino come un ottimo “giurista e coltissimo d’ingegno” più che come poeta. In effetti, certa sua produzione letteraria non sempre risulta originale e pregevole. Ma, a dispetto dei suoi proclami di fedeltà al Marino, egli si rifà sovente proprio al Tasso, come Gabriello Chiabrera(La Gotiade)e Giovan Battista Lalli (Tito Vespasiano ovvero La Gerusalemme desolata), nelle cui opere il verosimile prende il posto della fantasia, quando non sconfina nella poesia burlesca. Marinista per vocazione e per volontà, si trasforma in lirico petrarcheggiante nel canto melodioso di Filadelfo “Oh di ché bel sereno” in “Arte di vivere felice o le tre giornate d’oro” e nella rima “Pompa del Mar Tirreno, e Re dei Monti”.(4)Ma poi diventa inconsapevolmente “tassiano”nelle stanze di maggior pregio del suo poema eroico “Dell’America”,segnatamente nel primo canto (56-66), quando narra lo sbarco di Colombo in Mesoamerica (4° viaggio, del 1502) sulle coste dello Yucatàn, dove persisteva la civiltà Maya. Qui emerge la figura leggendaria di Oronta, “inclita guerriera de le feroci Amazzoni regina”, che sovrasta ogni altro personaggio del poema. Il verso si fa caldo, sublime, meraviglioso, edificante, tanto da far conquistare al poeta un posto di primo piano nella letteratura del Seicento, come lirico affatto stucchevole e artificioso, anzi originale e innovatore, se non proprio antitetico al barocco di maniera, nonostante il ricorso residuale a trame ed echi lessicali della moda del tempo.
Sinossi del canto I dell’America.Colombo, dopo “aspre tempeste e turbini sonori”, raggiunge le coste dello Yucatàn, difese dal sovrano Attabila, nel cui esercito milita Oronta, (5) che “l’ire de’ cristian rintuzza/, e fa veder nell’uso di battaglia/ quanto il valor viril vince od agguaglia”. Nel bel mezzo della battaglia, l’indomita guerriera spinge il suo destriero contro un giovane soldato cristiano (Ormeno: “fanciul sì tenero, infelice, ch’esposto al mondo sen d’erma riviera giacque per man di barbara nutrice”): “l’urta, il fère e l’abbatte al primo assalto”. Inorridisce la Natura quando a “mortal periglio” vede “d’empiatenzon, la madre e ‘l figlio”. I loro sguardi s’incrociano e si specchiano l’uno nell’altra, mossi da sconosciuti teneri affetti. “Renditi prigioniero e pon la vita in salvo almen de la tua età fiorita”, gli ragiona Oronta, prima di affidare il figlio mai conosciuto alle cure di Arcenta, “sua compagna e serva”.
Guerriera amazzone
Scorge non lunge de l’aversa gente
mover mischie confuse un garzon fiero,
che di cerulea giubba in giù cadente
veste adorno e mal cinto il fianco altero;
d’un elmo ispan la testa alza splendente
e pomposa d’un nobile cimiero,
et ignudo le braccia di ferro gira
tutto infiammato di magnanima ira.
Questi, nato pagan, di fasce involto
fune i confini d’un’isoletta esposto;
da erranti pescator poscia raccolto
crebbe i primi anni a ignobil arti esposto;
ma,giuntoa ferma età, si fu rivolto
il fiero a militar vita disposto:
lasciò le rozze barche e vili nasse
e fra gli alberghi di città si trasse.
Quindi, benché di sangue incerto, in guerra
del suo forte valor, chiaro divenne
ma poiché il duce ispan quante il mar serra
isole vincitor con l’arme ottenne,
con gli altri ancor d’ogni domata terra
del’italiche squadre in forza ei venne,
ma spinto da pensier nobile ardito
s’è con le genti vincitrici unito.
Ormeno ha nome, e ‘l ferro in fronte acerba
or tratta a pro del fido stuol di Cristo.
Oronta in lui spinse il destrier superba,
vaga di far de le bell’arme acquisto.
Qual tigre che su ‘l pian frondoso d’erba
di prime corna il bruno toro ha visto,
con gonfie labbra e rapida si scaglia
ove l’ira famelica l’assaglia,
in tal sembianza impietosa Oronta
mosse il destrier focoso a salto a salto,
con ciglia minaccevoli l’affronta,
l’urta,ilfère e l’abbatte al primo assalto.
Ei d’ignoto terrore a l’urto e a l’onta
del colpo e del corsier parve di smalto,
et ella il cor d’insolita pietade
è tocca allor che giù tremante ei cade.
Non sanno, ambo in valor di guerra eletti,
ondepietade in cor nasca e paura,
o che l’alme presaghe in ambo i petti
fosser di lor miseria allor futura,
o che in quell’atto non intesi affetti
consapevole in sé destò natura,
o inorridì quandoal mortal periglio
vide l’empia tenzon la madre e ‘l figlio.
Parto già de l’indomita guerriera
fu quel fanciul sì tenero, infelice
ch’esposto al nudo sen d’erma riviera
giacque per man di barbara nutrice.
Non osò, qual chiedea la lor severa
legge, nel sangue suo la genitrice
macchiar l’arme materne, e nato a pena
esporre il fe’ su la deserta arena.
Or ella a terra il bel garzon disteso
rimira di pallor languido e bianco,
che il nei con sì dolce atto il guardo inteso
quasi che mercé chieda e venga manco,
lo scorge in un da grave piaga offeso
irrigar sanguinoso il rotto fianco,
e benché ignoto il misero a lei fosse
pur a teneri affetti il cor le mosse.
Affabil li ragiona: “E qual insano
desio di prede o pur di gloria fue
che ti trasse per mar così lontano
a procacciar l’alte miserie tue?
Visto, infelice, a prova hai da mia mano
quantovagliono l’arme d’ambedue;
renditi prigioniero, e pon la vita
in salvo almen de la tue età fiorita”.
Così da l’alto sua destriero assisa
placidaOronta parla a lui che giace,
et egli di stupor pur gli occhi affisa
ne la sua vincitrice e immobil tace,
ond’ella, che dal pio sguardo s’avvisa
quanto quel bel silenzio è in lui loquace,
volta ad Arcenta, sua compagna e serva,
dice: “E tu, mia leale, il prendi e ‘l serva”.
Col racconto edificante dell’empia tenzonetra la madre ferina e il figlio civilizzato, il poeta ha inteso mitigare la paura dell’altro, rappresentatodal mito delle amazzoniselvagge e crudeli della tradizione classica e cristiana, col carico simbolico dell’incubo sovversivo dell’abbandono e della sopraffazione. Oronta, la famelica tigreche, con gonfie labbra e ciglia minaccevoli si era scagliata rabbiosamente contro il figlio (sconosciuto) per impadronirsi delle sue belle armi, ora, dall’alto del suo destriero, appare placida e naturalmente materna.
Colombo può piantare la croce dei conquistadores e invocare la vittoria.
N O T E
(1) Cfr. p. Francesco Russo (Regesto Vaticano per la Calabria: reg. n° 27674). Diede alle stampe: 1) Arte del vivere felice, 2) Historico racconto dei tremoti della Calabria, 3) Discorso sulle origini dell’anno santo; altre 5 opere sono rimaste manoscritte.
(2) Con, in appendice, un discorso di lode dell’Adone di G.B. Marino, inopinatamente ritenuto superiore alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, secondo l’opinione prevalente del momento.Il metro usato è quello dei poeti popolari, l’ottava toscana o stanza, di 8 endecasillabi rimati, con lo schema ABABABCC. Cfr. Anna Paudice, Un giudizio “parziale” svelato:Agazio Di Somma e il primato dell’Adone.
(3)Cfr. Eva Tostini, La scoperta dell’America nella poesia italiana dal XVal XVII secolo; Lorenzo Bocca, La scoperta dell’America nell’epica italiana da Tasso a Stigliani. Poemi sull’America: Alberto Lavezzola,Colombo, poema epico; Lorenzo Gamba, De navigatione Christophori Colombi; Giulio Cesare Stella, Columbeidos; Giovanni Giorgini, Il Mondo Nuovo; Giovanni Villifranchi,Colombo; Raffaello Gualterotti, L’America, poema eroico; Gianbattista Strozzi, America, poema eroico; Tommaso Stigliani, Del Mondo Nuovo; Alessandro Tassoni, L’Oceano; Fulvio Testi, L’India conquistata.
(4)Cfr. Bianca Maria Da Rif, Rime e lettere di Battista Guarini.
(5)L’etimologia indicherebbe una donna senza il seno destro. Secondo Strabone, le giovani amazzoni, a primavera, si accoppiavano nell’oscurità con un amante anonimo: tenevano con sé l’eventuale figlia femmina, ma uccidevano il figlio maschio o lo mandavano presso la tribù paterna.