«

»

LA CHIESA COLLEGIATA DI SANTA MARIA DELL’ITRIA

DI JUS PATRONATUS DEL FEUDATARIO DI SIMERI 

di  Marcello Barberio

 

Della Chiesa Collegiata di Simeri restano ancora, in precarie condizioni di conservazione, il monumentale portale settecentesco, artisticamente decorato da scalpellini locali, la torre campanaria di origine normanna, separata dal corpo della chiesa, e  l’adiacente cappella di Sant’Innocenzo.

Fu edificata sui ruderi di un edificio latino, come testimoniano i cocci di mattone di fattura romana, presenti qua e là nella muratura di malta e pietre fluviali.

  1[1]

                                                                          Portale Chiesa Colleggiata

 

Al tempo della dominazione bizantina dei “Themi” di Calabria e Longobardia, sorse una lunga diatriba tra Catanzaro, Taberna Montana e Simeri per la priorità del vescovato Trium Tabernarum, già di Trischene: nella “Cronica di Catanzaro”, Luise Gariano ricorda che nell’archivio della chiesa maggiore di Simeri era conservata l’iscrizione “Joannes Episcopus Simmarientis Trischines”, mentre nel “Syllabus Graecarum Membranarum” di Francesco Trinchera, all’anno 1091 è menzionato il vescovo Teodoro Mesimerio. Dal IX tomo della “Italia Sacra” di Ferdinando Ughelli (1) si ricava che nel 1161, il vescovo Leonzio De Risu, di famiglia latina ma di rito greco, per motivi di sicurezza, si trasferì da Taverna a  Simeri, suo paese natale, dove aveva diversi possedimenti, e da lì esercitò il suo magistero religioso; nelle “Rationes decimaruma Italiae” di Domenico Vendola è registrato a Simeri, nel 1328, “Joannes Prothopapa grecorum eiusdem castri”.

Originariamente la chiesa era divisa in tre navate, com’ è precisato nella “Relazione ad Limina” del 12 novembre 1582 del vescovo di Catanzaro Nicolò Orazi(2), e il suo tesoro (“mistico bottino delle mense degli altari”) era costituito  dalle reliquie  dei Santi: Sebastiano ( protettore del paese) , Policromio, Vincenzo, Cristofaro, Donato, Felice e Innocenzo, il cui scheletro incorrotto è custodito ancora in una bara di legno fatiscente, a ridosso dell’altare maggiore.

Dal “Regesto Vaticano per la Calabria”, di padre Francesco Russo (12378 e 10527) apprendiamo che la chiesa di Santa Maria dell’Itria (Guida nel cammino della vita) di Simeri fu elevata a insigne collegiata il 15 settembre 1440 (3), con Bolla da Firenze di Papa Eugenio IV, (4) al tempo di Re  Roberto d’Angiò e delle lotte dinastiche per la successione al Regno di Napoli. (5)

Il feudo di Simeri era compreso nella Contea di Catanzaro, concessa dal XII secolo a Pietro I Ruffo e poi (a.1239) a Pietro II, a Giovanni nel 1302, a Pietro III, ad Antonello, a Nicolò, il quale, nel 1390, vi aveva incardinato il titolo di marchese di Crotone, per volontà della regina Margherita, tutrice di Ladislao Durazzo. Durante il suo dominio le ricche e numerose colonie di Ebrei delle Giudecche di Catanzaro e di Simeri videro mitigate le controversie con le autorità religiose cattoliche e ottennero diverse immunità, compresa l’esenzione dal pagamento della gabella della tintoria e della mortafa. Il conte Nicolò ebbe vita travagliata e alterne fortune presso le due dinastie Angioine che si contendevano il Regno di Napoli; nel 1404 alienò la contea di Belcastro a Paolo da Viterbo, alias Peretto de Andreis, riscattandola subito dopo. Nel 1405 confermò i “Capitula, Statuta, Ordinationes Terrae Symari”, cioè le Grazie, le Immunità, i Privilegi concessi sin dal periodo bizantino, i Capitoli e gli Stabilimenti de iure carceris, molendinorum et furnorum, fiscarie, sulle fiere, sul reggimento dell’Universitas col criterio della divisione dei ceti. (Cfr. Regia Camera della Sommaria di Napoli).

Non avendo avuto discendenza maschile, a Nicolò succedette la figlia Giovannella, la quale nel 1425 sposò Antonio Colonna, principe di Salerno e nipote di papa Martino V. Dopo l’assassinio della contessina Giovanna nel 1435 e fino al 1466,  la Contea di Catanzaro e il Marchesato di Crotone furono ereditati da Enrichetta Ruffo, che nel 1401 sposò Antonio Centelles (6), viceré in Calabria al tempo di Alfonso I d’Aragona, il Magnifico.

Stemma araldico dei Ruffo: “Troncato, cuneato d’argento e di nero; il capo caricato di tre conchiglie al naturale, ordinate in fascia”. Motto: “Omnia bene”.

 

 “Vive Arrighetta ne’ paterni tetti

come angelo di luce circonfusa. […]

Alta, gentile, snella e delicata

incede, come diva a passo lieve

circondata d’un lume irradiante.

In ricci e ciocche inanellate scende

la chioma bionda, lucida e negletta

sul collo alabastrino abbandonata.

Con la pupilla del color del mare,

col vago viso, con le rosee guance

su cui dell’alma si dipinge il bello,

una parvenza, sovrumana diva

dir la si può de le celesti essenze. […]

I tuoi vassalli sono, o mia Arrighetta,

in piena festa. O come son giulivi!

Mostrano a dito a’ lor fanciulli lieti

te madre loro, te Madonna santa.

(P. Alfì, “Arrighetta Ruffo, Marchesa di Crotone”)

 

Dall’Archivio della Reale Giurisdizione di Napoli (vol. II, pag. 91) e dal Bollettino Feudale n° 8 (18-6, pag 191) del 1810, risulta che la chiesa dedicata a S. Sebastiano era di jus patronatus del feudatario di Simeri, il quale vantava il diritto privativo di nominare canonici ed altre dignità ecclesiastiche. Infatti presso l’ archivio della Giurisdizione di Napoli (anno 1609) sono custoditi gli “atti del principe Pietro Borgia, utile signore di Simeri, e il vescovo di Catanzaro circa i diritti del principe di presentare  canonici ed altri benefici semplici alla Chiesa Collegiata di Simeri”. Tale diritto generò molti conflitti giudiziari, dal momento che il clero e la curia vescovile svolgevano un ruolo preminente nella società feudale e nell’economia del tempo: nelle “liste di carico” della Cassa Sacra di Catanzaro del 1784, risultano appartenenti ai vari enti religiosi di Simeri 161 censi (tra perpetui, bollari e indistinti), 4 immobili urbani e 227  unità fondiarie, per un totale di 2.315 tomolate di terreno, pari a 772 ettari. L’accumulazione delle rendite e delle terre, l’ignoranza e la corruzione furono i principali responsabili del decadimento morale della vita religiosa e della crescita abnorme del numero dei religiosi (7.319 preti e chierici nella Calabria Ultra nel 1500, di cui più di 20 a Simeri).

Nella richiamata Relazione ad Limina del 1582 sono enumerate 7 chiese parrocchiali, la più grande delle quali, divisa in “tribus navis, maiori et duabus minoribus”, era insigne Collegiata e arcipretale sotto il titolo di Santa Maria Cattolica. Nel monastero di S. Damiano erano istituite l’associazione di Santa Caterina e la confraternita del SS Rosario e del Nome di Dio; alcuni altari erano maleodoranti per le sepolture, i registri parrocchiali indivisi, i benefici cumulati e incompatibili, la messa celebrata con molte imperfezioni. “Dominus Visitator, post celebrationem, segreto  ipsum  redarguit et monit D. Alphenisius  Sanctes  ut studiat rubricis et provideat Missam ante celebrationem et lente non velociter dicat Missam”.

Nell’”Epistolario Ufficiale del Governatore di Calabria, Lorenzo Cenami” (AS della Calabria), alla data dell’8 novembre 1623 è riportata la cronaca del conflitto tra il principe Ravaschieri di Simeri e il vescovo di Catanzaro, a causa  del diritto  del principe di nominare  3 dignità canonicali , cioè  arciprete,  cantore, tesoriere e altri 8 semplici canonicati. Il vicario generale di Reggio fu costretto a recarsi a Simeri  “ per eseguire  la commissione del vescovo di Catanzaro, il quale anch’egli fu là standogli intorno  gran numero di chierici di questa diocesi, armati di tutte le armi”.  L’intera popolazione si sollevò “ e successe un gran tumulto per l’arresto del capitano Tuxo”, che parteggiava per la gente del luogo.

La controversia terminò con l’eversione della feudalità e col decreto della Corte Feudale del 1810 che stabiliva :“Si astenga l’ex barone di provvedere le dignità e canonicati incardinati nella  Collegiata di Simeri”, la quale  –  come tutti i capitoli collegiali  –   perdeva la personalità giuridica col Concordato del 1984.

Nella ricordata opera di padre Francesco Russo sono menzionate le seguenti chiese di Simeri: della SS Annunziata, di Santa Domenica, di S. Fantino, di S. Filogonio, di S. Giacomo, di Santa Maria dell’Itria, di Santa Maria de’ Latini, di S. Nicola, di S. Pietro. Le parrocchie dei Santi Cosma e Damiano, di S. Domenica, di S. Leone, di S. Fantino erano ubicate nella Grecìa, ove era attivo un ospedaletto-ospizio di mendicità dedicato a S. Giacomo. Al Catasto Onciario di Simeri del 1741 si ha conferma delle 7 parrocchie (quella del Vaglio comprendeva anche la comunità parrocchiale di Crichi).

Il monastero femminile basiliano di San Nicola (fuori le mura),  versando in precarie condizioni economiche, fu soppresso sin dal 1478 e assegnato in commenda ai familiari e commensali del papa. Stessa sorte subirono i monasteri dei Carmelitani e dei Domenicani con la chiesa e le confraternita di Santa Caterina e del SS Rosario: la prima associava i Popolari e gli Artieri, la seconda i Nobili e gli Honorati.

Sulla più grande delle 3 campane della Collegiata è scritto : “Simeri A.D. 1879 arciprete Lopez pose col concorso del popolo. Andrea Conforti da Rogliano fuse”; sulla campana mezzana si legge:” A.D. MDCXVIII”, mentre la più piccola porta in rilievo strumenti musicali e un angelo che suona. La chiesa fu gravemente lesa dal terremoto del 1744 (restaurata nel 1751 dai Barretta-Gonzaga) e da quello del 1783, che costò a Simeri 3 morti e danni per   30.000 ducati.

(Lapide della Collegiata)

D O M

ECCLESIAM HANC COLLEGIALEM INSIGNEM

DE JURE PATRONATUS

ILLUSTRIUM MARCHIONUM TERRE SIMARI

DIUO SEBASTIANO MARTYRI DICATUM

OB FLAGELLI TERREMOTUS

DE ANNO 1744 COLLAPSAM

IN PARTEM EX SUA MUNIFICENTIA RESTAURAUIT

ECCELLENTISSIMUS MARCHIO

DN XAVERIUS BARRETTA E DUCIBUS SIMARI

ET AD FUTURAM REI MEMORIAM CIRCUMPOSUIT

ANNO DNS 1751

 

Il terremoto del 1905 provocò il crollo del tetto della chiesa, che per  lungo tempo fu adibita a ricovero d’animali; verso la  fine dell’’800, l’arciprete Pettinato fece edificare la nuova chiesa, tra i ruderi della Chiesa Varata, che conserva ancora gran parte della sua solenne monumentalità, nonostante l’edacità del tempo e l’incuria degli uomini.

Solo  negli anni ’80 del secolo scorso sono stati eseguiti lavori di restauro conservativo, affinché, con la scomparsa delle vecchie mura, non dovesse morire anche la memoria del passato.

Delle Confraternite di S. Giacomo e del SS Rosario o del Nome di Dio si ha conferma nel Catasto Onciario: erano escluse da esse le persone  di cattiva fama, i pubblici bestemmiatori, i giocatori, gli usurai e quelli che davano pubblico scandalo, comprese le donne-madri non sposate, omologate genericamente alle meretrici. Il Priore veniva eletto in chiesa, in pubblica assemblea, unitamente al primo e al secondo assistente, al cassiere, al maestro di cerimonie e al maestro dei novizi. All’occorrenza si procedeva al ballottaggio tra i due candidati più votati, col sistema dei fagioli bianchi e neri, per dare modo anche ai numerosi analfabeti  di esprimere la loro preferenza. Qualche anziano ricorda ancora le liti infinite e le ingerenze negli affari della vita pubblica da parte dei priori, i quali vestivano “pomposamente, con veste di seta bianca, mantellina di seta gialla, un cordone ai lombi e  una medaglia con l’effige del Patrono”.

La Bolla papale del 1440, istitutiva della collegiata insigne di Santa Maria dell’Idria, prevedeva anche l’erezione del Capitolo Clericale (un collegio di canonici preposti al decoro e al culto delle varie liturgie)  e delle dignità dell’arciprete, del tesoriere e del cantore.

Vale la pena di ricordare che il termine  “dell’Idria” era l’abbreviazione dell’antichissimo titolo bizantino di “Guida nel cammino della vita” ovvero Madonna del Buon Cammino o Santa Maria dei Greci: era concesso dall’imperatore di Costantinopoli nei territori occupati, da cui consegue che la chiesa era già esistente durante il periodo di dominazione bizantina, prima cioè  dei Normanni.

image003[1]

          Simeri: Chiesa Varata e Chiesa Nuova

 

La Collegiata era strutturata come una Chiesa Cattedrale, senza la presenza del Vescovo, ma col Collegio Capitolare, costituito dalle varie dignità o magistrature ufficiali (Arciprete, Cantore, Tesoriere e 8 Canonici semplici), preposte al decoro e al culto delle varie liturgie (indossavano l’abito talare corale nero con cotta bianca e mozzetta violacea, seguivano una regola o Canone.)

La cappella del SS Sacramento godeva della gabella della carne “..per comprare l’oglio e la cera e quello di bisogno al sostenimento di detta cappella e maritare alcune figliole poverissime”. Nel 1540 il conte Michele Ayerbis ingeriva nella gestione del beneficio ecclesiastico (Archivio Usi Civici Catanzaro: Simeri: Vol 7, n°1540). Come segno di prestigio e di ricchezza, il patrono del beneficio aveva il diritto onorifico di uno stallo riservato e in rilievo nella  chiesa, con lo stemma gentilizio della famiglia feudale “intagliato in pietra sopra il coro”, ma aveva l’onere della conservazione e manutenzione della fabbrica e dei suoi beni.

Era di jus patronatus del feudatario, al quale era attribuito il diritto di nominare le dignità canonicali. Il giuspatronato (jus honorificus, onerosus et utile), col diritto privativo dell’utile signore di Simari, fu causa di rissosa conflittualità per l’elezione assembleare del rettore, ma anche di controversie e di conflitti tra i feudatari e i vescovi di Catanzaro, come quella ricordata dell’8 novembre 1623 tra il principe Ravaschieri e il vescovo di Catanzaro.

Al Capitolo erano riservate le messe legatizie (con l’abito corale nero e la mozzetta violacea) e le processioni solenni (capitolari), durante le quali le varie dignità clericali, con la mozzetta di pelliccia d’ermellino, si disponevano  in file per due: l’arciprete trasportava il reliquiario ed era affiancato dall’arcidiacono e dal cantore, i quali tenevano i lembi del piviale liturgico (cappa magna). Il feudatario o un suo rappresentante portava l’ombrello eucaristico.

L’obbligo di partecipazione era esteso alle confraternite cittadine, anche durante le esequie funerali di I classe e per l’officium tenebrarum (i trenabi della settimana santa, simulazione del  fragore del terremoto seguito alla morte di Cristo).

Il Giovedì Santo, le confraternite, vestite col sacco e col cappuccio abbassato, portavano in processione la statua dell’Addolorata nei “sepolcri” allestiti lungo le stradine cittadine: giunti in prossimità della chiesa, uno squillo di tromba imponeva il silenzio generale, per consentire al predicatore di proclamare: “Maria, ecco tuo Figlio!”. E la statua poteva entrare in chiesa.

11S[2]

                       Interno della Collegiata

 

L’8 agosto 1810 la Suprema Commissione Feudale di Napoli, in attuazione delle leggi eversive della feudalità, imponeva al barone Emmanuele De Nobili di astenersi dall’esercizio del diritto particolare di nominare le dignità e i canonicati della chiesa collegiale, già pesantemente danneggiata dai terremoti del 1744 (restaurata dal conte Barretta nel 1751) e da quello ancora più distruttivo del 1783. Neanche la Cassa Sacra riuscì a restituirla agli antichi splendori, dal momento che nel suo interno fu costruita una baracca di legno, ad uso religioso; a fine ‘800 l’arciprete  Pettinato, col concorso dei fedeli, fece edificare una nuova e più modesta chiesetta, tra i ruderi della navata di sinistra e la cappella della deposizione, dalla quale un tempo si accedeva al campanile. Il terremoto del 1905 terremoto danneggiò ulteriormente l’antico edificio, compromettendone la stabilità.

Per non lasciar  morire la memoria del passato con le macerie del prezioso patrimonio artistico e culturale, a metà degli anni ’80 del secolo scorso è stato operato un restauro conservativo sui ruderi della Chiesa varata, intitolata a Santa Maria Assunta e dedicata al patrono San Sebastiano. Sono stati così sottratti alla sicura rovina gli elementi distintivi del bellissimo portale, dall’elegante architettura settecentesca e con chiare ascendenze romaniche, e le spoglie cappelle dai motivi figurativi e cromatici improntati al gusto barocco e rococò. Seguendo le buone regole dell’educazione alla custodia e al riuso, è necessario rendere continuativa la tutela e la valorizzazione del prezioso bene culturale ecclesiale, anche nella cosiddetta società desacralizzata, dal momento che i fruitori attuali non sono più i destinatari originari.

Infine vale la pena di ricordare che Simeri ha dato i natali a San Bartolomeo, a Nisone o Beato Nilo da Simeri  (primo archimandrita del Patirion di Rossano, dal 1060 e per più di 30 anni) (7), a Roberto (teologo e vescovo di Nicastro dal 1451 al 1473), al beato Silvestro (sepolto in una fossa comune nella collegiata), ad Agazio Di Somma, vescovo e poeta secentesco.

 

N O T E

 

* Nella tradizione della Chiesa bizantina, il titolo dell’Idria, dell’Itria o Odigitria sta per “Colei che indica la via”, mentre Acheropita significa “Non dipinta da mano umana” e Panaghia è “Tutta Santa”.

(1) Trattando della Chronica Trium Tabernarum del canonico catanzarese Carbonello, pag. 303.

La controversia cessò nel 1532, quando l’imperatore Carlo V intimò ai Tavernesi di non più richiedere la sede vescovile, trasferita a Catanzaro con bolla di Callisto II del 1121.

(2) Conservata nell’Archivio Segreto Vaticano e pubblicata da Alfredo De Girolamo nel 1974.

(3)  Il primo documento pontificio che ricorda l’esistenza di una collegiata in Calabria, di 7 anni anteriore a quella della vicina Cropani, istituita  il 27.8.1447, al tempo di Alfonso I d’Aragona.

(4) L’anno precedente, il Concilio di Basilea (precedentemente convocato da papa Martino V) aveva scomunicato Eugenio ed eletto l’antipapa Amedeo III di Savoia, col nome di Felice V. Nel 1438, Eugenio IV aveva convocato a Ferrara il concilio rivale di quello di Basilea: a causa della peste fu spostato a Firenze, dove papa Eugenio riconobbe le pretese su Napoli di re Alfonso V d’Aragona, prima di tornare a Roma nel 1443, dopo 10 anni di esilio. Papa ricordato per la Bolla Sicut Dudum contro lo schiavismo, in contrasto con gli interessi spagnoli, per la lotta contro l’eresia e contro il nepotismo; morì nel 1447.

(5) Nel 1441 Alfonso V d’Aragona assediò Napoli e la conquistò nel 1442

(6) Nel 1437, Enrichetta aveva sposato per dispensa apostolica Nicola dell’Arena: matrimonio rato, non consumato, annullato. Il matrimonio tra Enrichetta e il Centelles ha ispirato la novella romantica di L. Grimaldi “L’ultimo conte di Catanzaro” e il poemetto in 5 canti di Pasquale Alfì “Arrighetta Ruffo, Marchesa di Crotone”, con prefazione di A. Lucifero, Na, 1785.  La contessa morì nel castello di Crepacuore intorno al 1466.

 (7) D. Gradilone, “Storia di Rossano”. Nel Bios di Bartolomeo è menzionato Nisone o Nilo da Simeri.

torna a Pagina Uno