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Gli SCARABEI EGIZI di Crichi

Fino a pochi decenni fa, gli archeologi tendevano a escludere l’esistenza di una vera e propria Età del Bronzo in Calabria, a causa della scarsità e accidentalità dei ritrovamenti; oggi, invece, sappiamo che l’antica Brettia fu fortemente segnata dalla civiltà enea, con le sue officine per la produzione di armi e di ornamenti vari, di rame e di bronzo. La compresenza di ambre e ossidiane, la persistenza di oggetti di bronzo accanto a quelli di  ferro, la scoperta di tombe miste ( a incinerazione o protovillanoviane e a incinerazione  o combustione) testimoniano la sovrapposizione di diverse civiltà e confermano che le popolazioni autoctone delle nostre colline avevano allacciato intensi rapporti commerciali e culturali con i popoli del Mediterraneo e finanche del Nord Europa, ancora prima dell’epopea magnogreca.

Sul Bullettino di Paletnologia n°VIII del 1882, l’ing. Giuseppe Foderaro avviava la catalogazione dei ricchi reperti rinvenuti nei sepolcreti della necropoli di Donnomarco, del materiale fittile e metallico, come lance, braccialetti, spille, statuine muliebri riproducesti procaci veneri steatopigie (la Madre Terra o prefigurazioni di Gea e Afrodite, le dee della fecondità della terra e della bellezza femminile), ma anche di vari ornamenti attestanti “lo straordinario sviluppo artistico e tecnologico dei fabbricanti”.

 

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CZ, Museo Provinciale: scarabei di Crichi

 

In seguito. diversi studiosi si sono interessati ai ricchi corredi sepolcrali della necropoli e in particolare ai 20 scarabei stercorari in pasta vitrea: nel 1981 P.G. Guzzo e Irene Vincentelli hanno pubblicato un interessante catalogo (1) del museo (con particolare attenzione alle armi e alla monetazione), mentre più recentemente l’archeologo Roberto Murgano ( 2) si è soffermato sulle “influenze rituali dell’oltretomba egiziana  nella necropoli di Donnomarco”.

Tuttavia lo studio tipologico e la datazione degli Aepyptica d’epoca pre-greca (e dei nostri coleotteri smaltati di verde o in serpentino rosso) devono ritenersi ancora fermi alle intuizioni di P.E. Newberry, di D.Topa, di J. de la Genière e di De Silvia. (3)

La notevole estensione e la ricchezza del corredo funerario (armi di bronzo, terrecotte a sfondo nero e rosso, korai, ambre, braccialetti, torques, pendagli a coppia antropomorfa, statuine in bronzo, amuleti e talismani) testimoniano la presenza di una importante e popolosa comunità stabile indigena, insediata sull’altura sovrastante la fascia costiera della parte mediana del Golfo di Squillace. Anni addietro, su Calabria Letteraria, ipotizzavo la corrispondenza della necropoli con la città fortificata di Ocriculum, una delle 7 “ignobiles civitates” ricordate da Livio (ab U.c., liber XXIX, 38,1) nel sistema poleografico brettio, conquistate da Annibale nel corso della seconda guerra punica, intorno al 203 a.C.  Entro la sua cinta muraria, ai margini dell’abitato, inglobava la necropoli ed era collegata con la diramazione costiera (la Traianea-Appia, verso Taranto di 304 miglia) della via Popilia,  attraverso una via interna (4: Che partiva da Petrusa di Gagliano, passava per Crichi, Uria, Cropani, fino a Crotone, utilizzando accessi naturali e alvei dei fiumi). Dopo aver fatto parte nel 356 a.C. della Confederazione Bruzia, con la sua resa ai Romani, degradò a semplice stazione di sosta verso la Sila, nell’ager pubblicus del popolo romano. Il toponimo (diminutivo di Ocris, piccolo monte sassoso, come l’omologo umbro della VI Regio) è ricordato nei saggi di toponomastica di G.B.Pellegrino e di Giovanni Alessio e può essere considerato il paleonimo o antecedente storico di Crichi. (5)  

Molti studiosi lamentano l’assenza di un preciso contesto stratigrafico archeologico per poter meglio indagare il culto funerario, l’appartenenza, la provenienza e la funzione dei reperti (scarabei del cuore, castoni di sigilli, pendagli, vaghi di collane?).Sappiamo, però, che lo scarabeo possedeva nell’Antico Egitto poteri magici e veniva adorato come Khepri (sole del mattino): esso, infatti, spinge il dio-sole Ra nel cielo, come la palla di sterco da cui rigenera le proprie larve nella tana.

Nella IV Dinastia il faraone era detto  “figlio di Ra”.

 

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Scarabei in calcare e in serpentino rosso

 

Lo scarabeo di calcare bianco sembra provenire dal Delta del Nilo (4) e porta i segni del tigramma di Annone. Sul cartiglio dello scarabeo di steatite verde gli egittologi decifrano il prenome di Thutmosi III e un sole con 2 aurei, mentre quello in serpentino rosso e con foro centrale (che lo qualifica come pendaglio)  contiene un evidente richiamo al sangue di Iside lunare, piuttosto che a Osiris solare, entrambi con funzione protettiva, nella metamorfosi del perpetuo simile a sé stesso.

Non sappiamo se tali amuleti siano da ascrivere alla corrente commerciale della cosiddetta “via ionica degli Aegyptica” (6), come oggetti di baratto, o se fossero stati realizzati in botteghe indigene specializzate nelle produzioni d’imitazione, a favore dei bambini e delle donne di rango elevato.

Per certo, in tutta la Calabria antica, ionica e tirrenica, lo scarabeus sacer era legato al culto magico della rinascita e della fertilità, contenendo il principio androgino del sole e della luna, della nascita e del nutrimento. Era anche sigillo e “lasciapassare” per il giudizio nell’oltretomba.

 

  Marcello Barberio

 

Note

1)  “Materiali archeologici indigeni e d’importazione negli scavi Foderaro a Crichi.

2) Su “Calaméo, rivista periodica digitale” del Centro Studi Brutium

3) Cfr  Percy Edward Newberry, “Scarabeus- An introduction to the study of Aegyptian seals”, London, 1906; Domenico Topa, “ Le civiltà primitive della Brettia”, 1927; PG Guzzo, “Città scomparse della Magna Grecia”, 1982

4) Passando etimologicamente dall’osco-umbro “Ukar” a corruzioni greche, latine e volgari: Kricos,  Criculum per aferesi, Crichìa nelle cronache medievali, timpe di Crichi nel Catasto Onciario di Simeri del 1741)

5) I. Vincentelli vede una probabile intermediazione greca per il trasporto

6)  Scarabei di pasta blu e di faience sono stati rinvenuti anche nella Sibaritide (Cozzo Michelicchio e Amendolara) e nella Locride (Val Canale) e una coppa egittizzante fenicia del 750 a.C. è stata rinvenuta a Macchiabate

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