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LE JUDECHE DI CALABRIA

di Marcello Barberio  

 

Mi è capitato d’incontrare un sedicente cultore d’arte popolare con la passione della ricettazione, in un suo privatissimo “deposito museale”, di reperti d’ogni tipo:  “vozze”,pignate”, pinakes, korai, false teste fittili del paleolitico di Carìa, mascheroni policromi e cornuti dai nasi  adunchi, dalle bocche larghe e con la lingua penzolante, a rappresentare gli spiriti del male del folklore calabrese.

Esplicite funzioni apotropaiche – come le corna di montone  o di toro sugli stipiti delle case  –  venivano conferite nelle nostre comunità locali  anche ai “babbaluni” e  “gabbacumpari”  della tradizione islamica,cioè alle anfore mostruosamente antropomorfe  murate sui tetti o adattate ai comignoli per fugare il malocchio.

Il pezzo forte della collezione  è senz’altro  un grazioso ninfeo: una fontanella a nicchia decorata a mosaico con pietra vitrea policroma, a composizione paesistica e naturalistica; si  possono osservare pure due meridiane (orologi solari), una svastica antica scolpita su pietra  –  che rimanderebbe alle vicende dei Templari –  alcuni simboli iniziatici, come la squadra e il compasso dei rituali massonici.

La mia curiosità, però, è stata subito attratta da alcuni segni grafici impressi su due mattoni: una stella a 6 punte e un candelabro a 7 braccia o “menorah”, entrambi  divelti dallo stipite del portone  del rudere di un tempio della Judeka, nome rugale del ghetto di una delle tante comunità ebraiche che hanno popolato la regione in epoche più o meno remote.

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Affresco di menorah in una sinagoga

 

L’uso ebraico di riunirsi nella “Bet Knesset” – in greco “Sinagoghe – (1) risale a prima di Cristo, ma si consolidò nel 70 d.C, con la distruzione del  secondo Tempio di Gerusalemme (2): da allora i rotoli della “Torah” (la Legge: i primi 5 Libri della Bibbia) venivano conservati nell’ “Aron” o “Arca Santa”, unitamente alla “Fiamma perpetua”  o “Ner Tamid”.

La presenza in Calabria  delle comunità ebraiche viene fatta risalire dagli storici al 168 a.C., prima della diaspora e delle deportazioni come schiavi al tempo di Tito, anche se le più significative ondate d’immigrazione si verificarono nei secoli XI – XIII e soprattutto nel XV secolo, a seguito delle espulsioni dalla Spagna del 1492, dalla Germania, dalla Francia e dal Portogallo. L’editto di espulsione dalle terre  soggette ai re Cattolici – Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona  –

travolse anche le comunità siciliane, stimate in circa  40.000 unità: la Calabria divenne rifugio

preferito degli Ebrei, più di ogni altra regione del Regno di Napoli, fino alla conquista spagnola del 1503. Il Ferronelli (3) ha calcolato che nel 1481 venivano tassati in Calabria 12.187 Ebrei, divenuti 25.000 alla fine del XV secolo, quando proliferavano importanti comunità ebraiche ad Altomonte, Amantea, Belcastro, Catanzaro, Crotone, Mayda, Nicotera, Nicastro, Reggio, Rossano, Sellia, Simeri, Squillace,Stilo, Taverna….Qui vivevano da tempo “similiter et separatim”nei loro ghetti, vivificando l’economia con l’estensione del credito per il finanziamento dell’agricoltura, l’acquisto di mulini e segherie, di sciabiche  per la pesca e di  frantoi per le olive, per le manifatture e le attività commerciali, come la seta, la pece, l’estrazione di minerali metalliferi ( ferriere di S.Vito, ferrerie di Galatro, argenterie di Longobucco, Altomonte e Crichi), del sale di Montalto, di Santa Severina e di Altilia.(4)

Sin dal 1417 gli Ebrei di Catanzaro avevano ottenuto l’immunità dalla gabella  della tintoria e dal pagamento della tassa annuale della “mortafa” o  “morcafa”(5) e la dispensa di portare il “thau”, cioè del fiocco colorato  imposto come segno distintivo, esattamente una “rota di seta gialla per solito, simile al distintivo delle meretrici”.

Nel 1422 gli Ebrei di Cosenza  erano stati autorizzati da re Ladislao a praticare l’usura all’interesse del 40%.

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Museo archeologico di Crotone: lapide sepolcrale ebraica

 

Infatti, con la comparsa dei primi fenomeni di precapitalismo da parte della nascente borghesia commerciale,il prestito di denaro ad interesse, anche ad usura,  veniva in qualche modo tollerato se non incoraggiato, nonostante la condanna della Chiesa cattolica e le legislazioni antiusura dei secoli XII e XIII, che bollavano gli usurai come peccatori di furto, in quanto, secondo l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, “esigere usura per il denaro dato in prestito è cosa ingiusta”. Tuttavia l’economia feudale (produzione per l’uso), fondata sul privilegio e sulla scarsa circolazione monetaria, era stata inesorabilmente soppiantata dall’economia monetaria.

L’usura, comunque, era stata sempre condannata dagli antichi: Aristotele, nella “Politica”, sosteneva che “la riproduzione del denaro dal denaro è contro natura”; i concili e i decreti pontifici la esecravano e la anatemizzavano. Erasmo da Rotterdam denunciava la brutta pratica di “far pagare gabella al morto”.

L’usura era vietata ai cristiani, ma, sin dal periodo svevo,  era consentita agli Ebrei, i quali, però, in occasione delle feste cristiane venivano sottoposti ad una serie incredibile di angherie, soprusi e vessazioni.

Nel XV secolo la pratica dell’usura divenne quasi di uso comune nelle città  più importanti, per cui ebbe origine la classe dei banchieri europei:  gli Strozzi, i Peruzzi e i Medici in Italia, i Fugger  e i Welser in Germania. In Calabria, però, gli abusi contro gli Ebrei in occasione delle feste religiose non conoscevano soste, anche per interessi puramente materiali e di mero opportunismo. Tuttavia il lume della Fiamma Perpetua (Ner Tamid)  continuava ad essere alimentato nell’armadio posto in direzione di Gerusalemme, mentre il rabbino guidava la preghiera  all’Uno Eterno dalla “bimah” e, in occasione della “Pesach “ (Pasqua ebraica) si continuava a mangiare  il “matzah”, il pane azzimo di Mosè, e il “charoset “ di mele e miele, entrambi cibi simbolici della tradizione.

Oreste Dito(5), rimandando alle fonti per la storia degli Ebrei di Calabria, ricorda la “Costituzione d’Onofrio del 398” e la “Vita di San Nilo di Rossano”, dove sono ricordate le principali attività degli Ebrei, come la medicina e la mercatura; per Giovanni Fiore(6) gli Ebrei “ vennero in Calabria la prima volta circa il 1200, che abitavano Corigliano, Cosenza, Taverna Montana, Catanzaro, Simeri, Crotone, Squillace…”; per Vincenzo Amato (7) gli Ebrei si stabilirono a Catanzaro nel 1073, sotto la signoria di Roberto il Guiscardo, aprendo  “fondachi di mercantia”, cioè banchi di prestito (non ancora banche vere e proprie). Lo stesso Oreste Dito ricorda una ketubbah (contratto prematrimoniale) di Simeri firmata da 10 rav (maestri, rabbini), a dimostrazione del fatto che gli Ebrei dovevano rappresentare la parte più ragguardevole dell’intera comunità locale.

Per certo i Giudei erano presenti in Calabria al tempo delle grandi invasioni musulmane del X secolo, allorquando furono istituiti diversi emirati, il più importante dei quali era quello di Squillace.

Nella “Costitutiones Melphitanea”, Federico II, consapevole che  contro gli Ebrei “christianorum persecutio abundat”, perché ritenuti “lupi rapaces” e “ serpentes, li poneva sotto la sua protezione, insieme con i Saraceni, e , nel 1238, venivano riconosciuti  servi della Regia Camera, col diritto di esercitare l’usura, nonostante la condanna del Concilio Lateranese del 1216.

Nel 1294, Carlo I d’Angiò emanava l’ “Editto di Conversione” degli Ebrei , richiamando in vigore il distintivo d’ignominia o “thau”: “masculus in amplitudine pectoris circulum croceum…mulier super ceteris capis ligamentis Romano more vetata”, affinché potessero essere distinti dai cristiani.

Dal 1311 fu stabilita la segregazione dei Giudei nei Ghetti etnici.

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Judeca di Nicastro 

 

Oreste Dito ha raccolto a Malvito una cantilena in cui è condensata tutta l’avversione del popolino calabrese contro gli Ebrei:

“Te’, te’, lure’,

E’ binutu lu birrè

S’ha pigghiatu li cammisi

E l’ha purtati a chillu ‘mpisu.

 

–   Chillu ‘mpisu nun è cca,

Ca s’è jutu a sa vuttà

Sutta l’arcu d’a judeca.

Là su spire e là m’ crepe.

 

–   Chi l’ebrei ha rituccatu,

Tene tutti li peccati:

Là sta  nchiusu là,Pilatu,

Sistu, niru e ‘ncontricatu.

 

-La, larà, larà, larà,

Là sta Juda con Pilà.

 

– Ricchi e mpisi li judei,

Purcedruzzi di drachei:

Si ccu chili si’ ‘mischiatu

Ruttu e ‘ncruci si chiavatu;

Si spugghiatu a ra medilla,

Virdi, giallu e janculillu;

Si ccu chili si’ ‘mischiatu

Carni ed ossa si’ dannatu.

 

– Chi vo’ diri stu dannà?

La, larà, larà, larà…”

 

Ancora una volta, risulta evidente che l’integrazione degli Ebrei nella società calabrese era sempre problematica, in quanto ogni Giudeo era considerato un estraneo di cui diffidare sempre, per cui gli  stessi  “permessi di residenza” raramente erano definitivi e quasi sempre  provvisori: la grande capacità di adattamento degli Ebrei aveva consolidato la loro  presenza plurisecolare nella regione, ma ogni loro comunità era costretta a vivere in una condizione di perenne precarietà e di sempre incombente sradicamento. Più tardi, verso la fine del 1500, la Chiesa cattolica ribadirà la condanna del Talmùd, l’opera monumentale compilata tra il III e il VI secolo per raccogliere la “summa” della tradizione ebraica in campo religioso, filosofico, giuridico e folklorico.

Ma procediamo con ordine.

Nel 1492 i cattolicissimi sovrani di Spagna – Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona – riuscirono a cacciare i Mori dal Regno di Granata, per cui, dopo 8 secoli, con la capitolazione del califfo Boabdil, finiva la dominazione araba in Spagna, che si avviava a ad assumere il ruolo di grande potenza europea. Il grande inquisitore Tomàs de Torquemada avviava la repressione di ogni  forma di eresia, con l’ inquietante espressione dell’ “auto da fè”( atto di fede) : l’eretico o la strega che non riconoscevano la loro colpa venivano bruciati vivi su un palco costruito nella Plaza Mayor di Madrid.

 

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Parma, Biblioteca Palatina:

  libro in ebraico del 1475

 

Con l’avvento della dominazione spagnola del 1503, gli Ebrei furono costretti ad emigrare dal regno di Napoli e dalla Calabria: con la Prammatica del 1510 iniziavano le espulsioni e, nel 1514, subivano la stessa sorte i marranos  e i  meriscos, cioè coloro che abiuravano il giudaismo e l’islam per convertirsi al cristianesimo. Il bando del 1541 (editto di Carlo V) sanciva definitivamente l’espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli, proprio mentre i baroni accoglievano favorevolmente nei loro feudi calabresi 55.775 coloni albanesi . Nel 1445, papa Paolo III richiamava in vita il Tribunale dell’Inquisizione istituito da Innocenzo III al tempo degli Albigesi.

Gli Ebrei, dunque, lasciarono la Calabria nel XVI secolo e, con i marrani e i moriscos spagnoli e portoghesi, si rifugiarono nel Levante, a Salonicco, a Costantinopoli, ad Adrianopoli, avviando una nuova diaspora di quelle comunità, che, in gran parte, saranno sterminate dai nazisti di Hitler in Grecia e nell’Egeo, particolarmente a Corfù e a Rodi.

Dopo il 1541 le vecchie  Giudecche calabresi  si spopolarono, ma non tutti gli Ebrei lasciarono la regione, poiché alcune comunità si sparsero nelle zone interne: quelli di Nicastro trovarono rifugio   nei villaggi  albanesi di fresco insediamento di Zangarona, Vena di Maida, Amato e Gizzeria; alcune famiglie di Amantea trovarono accoglienza a Martirano e nella valle del Salso di Conflenti.

Gli Ebrei rimasti in Calabria ,confusi tra la popolazione locale, albanese e grecanica, continuarono ad esercitare i loro antichi mestieri, ma non più l’usura: divennero armieri, medici, speziali, scalpellini, smerigliatori di macine di mulino e di frantoio,  commercianti, conciatori di pelli, varrilari,  tintori, cestai, pettinai, seggiari, stagnini, artigiani del legno e del ferro battuto, sellai; provarono per qualche tempo a mantenere la propria identità religiosa  ed a tramandarsi il culto in segreto, dal momento che, sin dal  1553, la bolla pontificia di Giulio III  imponeva la distruzione del Talmùd e ne vietava la lettura ed il possesso a causa “dell’empietà dell’opera”.

Molti si convertirono e furono detti  marrani ( maiali) o conversi, piuttosto che anusim, cioè “costretti”.

Recentemente lo storico calabrese Vincenzo Villella (8) ha approntato un lungo elenco di cognomi di derivazione giudaica: da Aiello a  Mascaro, a Ventura, a Di Lieto, a Ferraiolo, a Scalise, senza contare quelli classici di Abramo, Adamo, Anania, Davide, Elia,Giacobbe, Simone, Zaccaria.

Nel mese di aprile 2005, a Serrastretta di Catanzaro è stato celebrato un Seder di Pesach (9) , la Pasqua ebraica, che ha visto la partecipazione di Rav Barbara  Irit Aiello, la prima donna rabbino in Italia, accolta dal canto di  Schalom lechem  (Pace a voi!). Durante il seder si è anche accennato al problema dei campi di sterminio nazisti e alle deportazioni dei 58.000 Ebrei italiani, immolati sull’altare dell’ideologia della  “razza pura ariana” e  della supposta inferiorità e pericolosità del popolo “deicida”, mestatore ed affarista, che non meritava d’integrarsi in alcuna comunità civile.

Nonostante i ripetuti riferimenti  alla  Shoah e all’Olocausto, non è stata adeguatamente affrontata la questione della propaganda antisemita diffusa anche da certe gerarchie della Chiesa cattolica, fino alla coraggiosa presa di posizione del 1986 di papa Carol Wojtyla ( Giovanni Paolo II) col ben noto decreto “Nostra Aetate”.

Nel 1938, invece, al tempo delle leggi razziali, Achille Storace così commentava il suicidio dell’editore ebreo Angelo Fortunato Formaggini:  “E’ morto proprio come un ebreo: si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”.

Sulla rivista dell’Università Cattolica di Milano, “Vita e pensiero”, nel 1924, in occasione del suicidio di felice Momigliano, così si commentava:” Se insieme col positivismo, il libero pensiero e Momigliano  morissero tutti i Giudei che continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro  Signore, non è vero che tutto il mondo starebbe meglio? Sarebbe una liberazione!”.(10)

“Mettiamo il prezzemolo nell’acqua salata per ricordare le nostre lacrime”, ribadiva Barbara Aiello,   rappresentante della corrente dell’ebraismo progressista, che,mentre afferma la fedeltà alla

tradizione e alla cultura dei padri, si preoccupa  di accogliere i valori della coscienza contemporanea.

Nel mese di agosto 2005, nel quartiere della Giudecca di Siracusa, si è tenuto il 19° Congresso dell’Associazione Italiana per lo studio dell’Ebraismo, per l’approfondimento di temi religiosi, storici, economici ed artistici  del bacino del Mediterraneo.

Mauro Perani dell’Università di Bologna ha posto l’accento sulla  scuola di copisti ebrei di Otranto nell’XI secolo, mentre Rita Calabrese  ha ripercorso le tappe delle peregrinazioni degli Ebrei tedeschi in seguito all’emanazione delle leggi razziali.

Per quanto riguarda gli Ebrei calabresi nulla o quasi è stato detto o fatto negli anni: non uno studio organico sui contributi materiali e finanziari dal XIII secolo ad oggi, non la ricognizione di opere d’arte, letterarie e linguistiche.

Perché – come per i grecanici e gli  albanesi –  non si può parlare di  isole linguistiche ebraiche  in Calabria?

Fabrizio Lelli dell’Università di Lucca  ha provato a quantificare  in quale misura l’Ebraismo dell’Italia del Sud ha contaminato l’idioma delle comunità greche salentine, nell’evoluzione del dialetto e delle sue varianti.

E’ possibile ipotizzare che  –  quanto meno  per le affinità strutturali e lessicali  col dialetto del Salento  –  anche da noi la lingua  e la cultura ebraica abbiano contaminato e arricchito i dialetti calabresi  e  calabro-grecanici e che abbiano lasciato tracce significative e certe nei  canti, nei riti e nei costumi, come pure nella gastronomia(11), nelle pratiche commerciali e nelle multiformi  espressioni artistiche?

Schalom lechem!

 

N O T E

(1)     Sinagoga o anche Schola  o Musceta o Meschite di derivazione araba: cfr. Nino Tomassia,  ”Stranieri ed Ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana alla sveva”, 1904.

(2)     Il 29 agosto del 70, cioè il 10 loòs, corrispondente al 10 del 5° mese, giorno in cui Nabuzardan incendiò il primo tempio dalle milizie di Tito, che veniva acclamato imperator. Nel 135 la provincia di Giudea divenne provincia di Siria-Palestina e Gerusalemme, colonia romana,  venne interdetta ai Giudei, condannati ad errare per il mondo (“ebreo errante”

(3)     N.Ferronelli: Gli Ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, TO,1915

(4)     Nella “ Cedula subventionis in Iustitiariatu Vallis Crati et Terre Jordane” e nella “Taxatio generalis subventionis in Iustitiariatu Calabrie” del 1276 sono elencate 14 comunità ebraiche, tra cui quelle più importanti di Crotone, Nicastro, Seminara.

(5)     O.Dito, Storia degli Ebrei di Calabria, fascicoli vari

(6)     G.Fiore da Cropani: Calabria Illustrata, 1691

(7)     V. d’Amato, Memorie Historiche dell’Illustrissima, famosissima e fedelissima città di Catanzaro, 1670

(8)     V. Villella, La Judeka di Nicastro, 2004, Calabria Editrice

(9)     Cadeva il giorno del plenilunio di Nisan ( marzo-aprile), “il giorno dopo il sabato” : prevedeva azzimi per 7 giorni e l’ ”offerta del primo covone”. 7 settimane dopo, nel mese di Sivan,  ricorreva la “festa delle settimane” o delle messe o di pentecoste. Il capodanno o giorno delle acclamazioni – rosch hashanb –  coincideva col 1° di Tisri ( settembre-ottobre): il 23 dello stesso mese di Tisri era la festa delle capanne o scenopegìa, cioè del raccolto di fine anno e del “ritorno dell’anno”, cioè la festa del capodanno autunnale. Il toponimo “Peseca” ricorre in molte località calabresi (Taverna Montana ora in Albi, Crichi,..); frequente è anche il toponimo di “Parasìa”( para= con; ousìa= essere; cioè “essere con…)

(10)Franco Cuomo, Manifesto della razza, 2005

(11) “cacioffuli alla giudìa”, pitte ‘nchiuse”, pane ajimu

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