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IL JOBS ACT

Con Jobs Act si indica una riforma del diritto del lavoro , promossa ed attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso diversi provvedimenti legislativi varati tra il 2014 ed il 2015.

Il termine deriva dall’acronimo “Jumpstart Our Business Startups Act”, riferito a una legge statunitense, promulgata durante la presidenza di Barack Obama nel corso del 2012, a favore delle imprese di piccola entità. In Italia il termine è stato invece usato per definire un insieme di interventi normativi in tema di lavoro a carattere più generale.

Durante il governo Letta, nel gennaio 2014 Matteo Renzi, neo-segretario del Partito Democratico (partito di maggioranza relativa in parlamento e partito di appartenenza del premier in carica) promosse l’idea di una riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di un contratto unico a tutele crescenti, di una creazione di un’agenzia nazionale per l’impiego e di un assegno universale di disoccupazione, oltre che di semplificazione delle regole esistenti e di riforma della rappresentanza sindacale.

Con il successivo governo Renzi, il premier Matteo Renzi e i suoi ministri emanarono la riforma conosciuta come Jobs Act, dividendola in in due provvedimenti: il decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 (anche noto come “decreto Poletti”, dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti) e la legge 10 dicembre 2014, n. 183, che conteneva numerose deleghe da attuare con decreti legislativi, tutti emanati nel corso del 2015.

La principale novità prevista dalla legge delega riguarda il contratto a tutele crescenti, un nuovo tipo di contratto per i nuovi assunti a tempo indeterminato che prevede una serie di garanzie destinate ad aumentare man mano che passa il tempo, finalizzato a contrastare il precariato.

Il d.lgs 4 marzo 2015, n. 23 (“Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 183/2014“‘) è stato emanato il 24 dicembre 2014.

Le nuove disposizioni si applicano per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (cioè dal 7 marzo 2015), nonché ai casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato. Per gli altri contratti, invece, continua ad applicarsi l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Il decreto dispone che, in caso di licenziamento senza giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà versare al lavoratore dipendente un indennizzo pari a due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro nell’azienda, da un minimo di 4 a un massimo di 6 mesi di indennizzo per le aziende con meno di 15 dipendenti e da 12 mesi a 24 mesi di indennizzo per le aziende con più di 15 dipendenti. Le nuove regole prevedono anche la possibilità di ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità. La norma modifica anche l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che nella attuale formulazione prevede per i licenziamenti senza giustificato motivo oggettivo un risarcimento che andava da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità o la reintegra sul posto di lavoro, ma si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti.

Sono poi predisposte analoghe tutele per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari per i quali venga provata l’insussistenza del fatto contestato (per i quali viene imposto il reintegro del dipendente).

Ecco riassunte tutte le novità del Jobs Act :

Contratti e mansioni. Sono due gli aspetti che risaltano: lo stop definitivo ai contratti Co.Co.Pro. che non potranno più essere attivati e, a decorrere da inizio 2016, le collaborazioni continuative godranno delle norme applicate al lavoro subordinato. In caso di ristrutturazione, l’azienda può modificare le mansioni del collaboratore, inquadrandole anche verso il basso, ma non potrà cambiarne l’inquadramento economico fatto salvo quello accessorio.

Contratti a tutele crescenti. Dal 7 marzo scorso è attivo il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per i neoassunti. I licenziamenti per motivi economici non prevedono il reintegro ma un indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio, due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro prestato da un minimo di 4 mensilità fino ad un massimo di 24.

Il diritto di reintegro non è però del tutto annullato; resta in essere per i licenziamenti discriminatori, nulli o ingiustificati.

Congedo parentale per figli fino a 12 anni. Viene esteso il congedo parentale facoltativo, resta quello retribuito al 30% fino ai 6 anni di età dei figli (prima era limitato ai primi 3 anni) e quello non retribuito si estende fino ai 12 anni (invece di 8). Al posto del congedo è possibile chiedere un impiego part-time (50%). Il congedo maternità può superare i 5 mesi canonici se il bimbo è nato prematuro.

Indennità di disoccupazione. È in vigore da maggio la Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (Naspi) che prevede almeno 13 settimane di contribuzioni negli ultimi 4 anni. Il fondo prevede sussidi mensili per un massimo di 1.300 euro. Per poterne usufruire il lavoratore disoccupato deve partecipare ai programmi di riqualificazione professionale o ad iniziative analoghe. In via sperimentale la Disoccupazione collaboratori (Dis-Coll), attiva da gennaio fino alla fine del 2015, pensata per i collaboratori a progetto, coordinati o continutivi, iscritti alla Gestione separata (privi di partita Iva); un’indennità che spetta a chi ha versato almeno tre mesi di contribuiti a partire dal primo gennaio dell’anno precedente al momento in cui perde involontariamente l’impiego. Infine l’Asdi, un fondo di 300 milioni per chi, esaurite le indennità Naspi, non ha ancora trovato un impiego e vive in stato di bisogno. Altro decreto riguarda la durata strutturale della Naspi, che rimane di 24 mesi.

Cig, tetto a 24 mesi (36 con solidarietà). Viene limitato a 24 mesi la durata della Cassa integrazione Guadagni (Cig), istituto di legge che va incontro alle imprese in difficoltà economiche temporanee. Il tetto può tuttavia raggiungere i 36 mesi per i contratti di solidarietà (contratti di lavoro a tempo ridotto); viene però esteso alle imprese con oltre 5 dipendenti ovvero a 1,4 milioni di lavoratori in più.

Basta dimissioni in bianco. Le dimissioni vanno rassegnate per via telematica con moduli messi a disposizione dal Ministero del lavoro. Il lavoratore può trasmetterli anche facendo ricorso a patronati, sindacati, commissioni di certificazione e altri enti.

Controlli a distanza. A favore delle imprese è stato introdotto il controllo a distanza. Il datore di lavoro che dota i propri collaboratori di computer, tablet o smartphone può controllarne le attività senza accordi con sindacati o autorizzazioni ministeriali che restano invece in vigore per le videocamere di sorveglianza. I lavoratori dovranno tuttavia essere informati sulle politiche di raccolta delle informazioni e sull’entità dei controlli attuati che devono in ogni caso rispettare la privacy. Le informazioni raccolte possono essere usate anche a fini disciplinari.

Anpal, l’agenzia nazionale politiche attive lavoro. Dal 2016 verrà creata una rete di servizi per le politiche del lavoro, coordinata dall’Anpal e che mira all’integrazione dei lavoratori disoccupati, per la quale è previsto anche un assegno.

Ispettorato nazionale del lavoro. Per semplificare le attività di ispezione viene creato un Ispettorato nazionale, subordinato al ministero del Lavoro, e di cui entrano a fare parte tutte le risorse ispettive, comprese quelle Inps e Inail.

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