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I CONVENTI E ABATI DI SIMERI

di Marcello Barberio  

 

Ancor prima del X secolo, per l’influenza del monachesimo greco, sorsero in Calabria diverse colonie eremitiche: spesso si trattava di singoli o pochi solitari, dediti all’ascesi e all’umanesimo culturale, mantenuti ciascuno da un “sustentator”, un “potentes” del luogo, che si accaparrava le preghiere dell’eremita, il quale, al sorgere del sole, si affacciava dalla grotta per cantare inni al Signore. I primi discepoli di San Basilio di Cesarea giunti in Calabria nell’VIII secolo, provenivano dal lontano Oriente, da dove erano fuggiti per scampare alle persecuzioni iconoclaste dell’imperatore Leone Isaurico, il quale, con editto del 726, aveva vietato il culto delle immagini sacre. Le nostre contrade iniziarono a pullulare di cenobi e di laure eremitiche basiliane, che determinarono la seconda ellenizzazione della cultura e dei riti religiosi.

Con l’avvento dei Normanni ai monasteri furono accordati donazioni e privilegi, contribuendo così allo sviluppo di nuovi ordini monastici, soprattutto di rito latino.

Nella Chronica Trium Tabernarum, riportata da Ferdinando Ughelli nel IX tomo dell’Italia Sacra, è ricordato un arcipresbitero di Simeri “Episcopalem dignitatem adeptus…ecclesiam fabricavit…(detto) Simarinum Episcopus”: visse a lungo, gli succedette Andrea Catizone e poi Macario di Simeri, “qui erat Graecus, Latina tamen lingua eruditus”. Nel 1062 si trasferì a Simeri il vescovo latino Leonzio de Riso.

A Simeri, Terra d’origine greca, si affermò ben presto il monachesimo calabro-greco, che ebbe il suo maggiore esponente nel basiliano San Bartolomeo, “ vir santitate plenus ”, di cui ho ampiamente discorso in questa stessa rivista, sin dal 1984, trattando della riforma dei monasteri del Monte Athos e dell’opera di mediazione tra la chiesa romana e quella greca, dopo lo scisma di Santa Sofia del 1054. Il manoscritto originale del suo Bios è contenuto nel primo dei due grossi volumi del “Messanensis Graecus 29” della Biblioteca Universitaria di Messina e fu pubblicato dai Bollandisti negli “Acta Sanctorum, septembris”, VIII, pag. 816 e seguenti. La sua festa si celebra il 19 agosto.

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 Simeri, grotta basiliana

A Simeri ebbe i natali anche il teologo Roberto, dei Minori Osservanti, eletto vescovo di Nicastro nel 1451, ove “sedette per ben 38 anni e, morto, gli succedette Pietro de Sonnino da Mayda” (1).

Infatti, da “La diocesi di Nicastro” di Francsco Russo ricaviamo che, l’8 ottobre 1451, Nicolò V prepose alla guida di quella diocesi fra’ Roberto di Simeri, succedendo a Giovanni de Paganeis.  Ben presto, il Nostro fu colpito da accuse infamanti, che provocarono una sua temporanea sospensione dalle funzioni episcopali e venne sottoposto a un severo processo presso la sede apostolica romana; dopo la sentenza favorevole, resse la cattedra vescovile fino al 1473, ma nel frattempo una gran massa di beni materiali era stata data in commenda, col rischio delle usurpazioni e del dissolvimento materiale e spirituale.

A gennaio del 1458 la diocesi fu ispezionata dal Visitatore Apostolico Attanasio Calceopulo, il quale non mancò di annotare che il cenobio dei Santi Quaranta era retto da una badessa di soli 17 anni, era diventato beneficio del clero secolare e segnatamente del decano del capitolo cattedrale; il monastero di San Filippo di Feroleto era retto da un presbitero latino alquanto rissoso e ribelle, ridotto a più miti consigli dallo stesso vescovo Roberto. Tommaso, abate cistercense del cenobio di Santa Maria del Carrà, era notoriamente concubino con Pulisa di Brognaturo, “se delectat cum mulieribus, est frequentator tabernarum, iniuriator”  ed esercitava la mercatura. Non aveva concubine, invece, l’abate del monastero di San Nicola di Flagiano, anche se veniva descritto come “grossus homo et semi bestialis”, ma di costumi morigerati, dal momento che una donna “lavat pannos set facit servitia”. Tutti i monasteri della diocesi affidata alla cura di Roberto conservavano un ricchissimo patrimonio di manoscritti e di codici greci, che il Visitatore ebbe premura di catalogare con scrupolo monacale, come ha brillantemente lumeggiato F. A. Parisi (2).

Molti abati calabresi del tempo non conoscevano la lingua greca né il rito greco: “quisti Grechi portano le barbe de becchi…quissi Grechi chi su venuti a lo Levante et non sapino si su Christiani oy turchi”. (3)

Tra le glorie di Simeri va annoverato sicuramente il Beato Luca, discepolo e conterraneo di San Bartolomeo, settimo egumeno dell’abbazia di Grottaferrata(1060-1070).

Un altro illustre abate di Simeri, Andrea, diresse la diocesi di Potenza dal 1389 al 1392, quando Bonifacio IX lo trasferì alla sede di Squillace, che resse fino al 1402, quando passò alla sede di Isernia e poi di nuovo a Potenza (dal 10.11.1402 al 17.11.1404) e infine a Caiazzo. Nel 1397 l’antipapa Benedetto XIII aveva nominato vescovi di Squillace prima Pietro dei Frati Minimi e poi Giovanni Meli, ma la Chiesa di Roma continuò a riconoscere solo Andrea, il quale possedeva doti singolari, grande dottrina, ma anche (secondo alcuni autori) una immoderata cupidigia di onori.

Giovanni Fiore, l’Ughelli, Fedele e altri lo indicano semplicemente come Andrea o anche Andrea Sinrao o Serao; Francesco Russo, invece, lo riconosce espressamente di Simeri.

Del gesuita Agazio Di Somma ho trattato nei numeri 4-5-6 del 1984 (4) e 1-2-3 del 2011 (5) di questa rivista: egli nacque a Simeri nel 1591, fu accademico e poeta apprezzato quanto controverso, vescovo di Cerenzia e Cariati prima di essere assegnato alla sede episcopale di Catanzaro, dove restaurò la cattedrale neoclassica edificata da Emman. “Multa edidit, vide Leon”, prima di rendere l’anima al Padre nell’autunno del 1671.

L’ordine dei Minori Cappuccini ebbe origine nel XVI secolo, in seguito alla Controriforma: il convento di Simeri, soggetto alla Custodia di Catanzaro, fu fondato nel 1590, per volontà del principe Pietro Borgia, signore di Simeri e di Squillace.  Così precisa padre Giovanni Fiore da Cropani (6), così si ricava dalle rivele del Catasto Onciario di Simeri del 1741 (A.S.Na) e così è confermato in una lettera del vescovo di Catanzaro all’Intendente di Calabria Ultra del 31 luglio 1826 (7), che recita:

“[…] Esiste da remotissima epoca un convento de’ PP Cappuccini in detto Comune di Simeri Crichi, che per l’abolizione degli Ordini Regolari e per le convulsioni politiche del Regno rimase per più anni spogliato di religiosi. Trovasi la chiesa e il fabbricato del convento in qualche modo in buon essere dopo piccole riparazioni, che possono adempiersi a spese de’ fedeli. Il ritorno de’ Religiosi in detto Comune non sarebbe di peso, giacché essendo limitrofo al Vostro territorio detto il Marchesato, da quello ritroverebbe la sussistenza.[…]” . In un altro foglio della cartella è contenuta la “Perizia delle riattivazioni occorrenti per potersi rendere abitabile il convento de’ PP Cappuccini. Simari, li 15 agosto 1826[..], ducati 36 e grana 40”.

Le sue vicissitudini sono state ricostruite da padre Remigio Le Pera, in “ Gli ottanta conventi dei Cappuccini in Calabria”, che riporta la Relazione del Guardiano padre Clemente da Catanzaro del 4.3.1650.

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 Simeri, Convento dei Cappuccini

 

“E’ distante circa mezzo miglio dalla parte dell’habitato di Simeri, ch’è aperto e senza mura. Il restante poi, che si chiama comuniter “Il Vaglio” è parte chiuso e parte aperto. Fu fondato come crede  – non essendovi scritture –  col consenso dell’ Ordinario l’anno 1594 ( come appare da un libro dei conti dell’ introito e dell’esito della fabbrica di detto convento) a istanza del Sig. Pietro Borgia Principe e Vescovo di Squillace e della Università e con l’elemosina di quella e di molti altri particolari, fabbricato ed eretto secondo la povera  forma cappuccina. Il convento oltre all’orto contiguo, che è della Sede Apostolica, come pure il medesimo convento, non possiede entrate perpetue né temporali, né altre proprietà di beni stabili. Vi abitano di famiglia Sacerdoti quattro, chierico uno e laici professi quattro, questi tutti si sostengono dalla pietà de’ detti cittadini e casali e terre circonvicine. Li nomi de’  frati sono…. Benché in detto convento ne possono vivere dieci e forse più al presente “.

Nella Relazione del 1852 (Archivio Generale, Roma) è scritto:

“Ha la chiesa sotto il titolo di Santa Maria degli Angeli, la cui festa si celebra alli due di luglio.

Il giardino lo ebbero i frati dal Tesoriere della Collegiata di Simeri, per il quale si obbligò il paese di pagare scudi tre ogni anno. Fu soppresso dal Governo Francese col decreto del 10.1.1811 e ripristinato nel 1843 a richiesta  de’ fedeli di Simeri ( ma era privo di regolare famiglia), dopo la rovina del terremoto. Il 1874 era rettore p. Giovanni Battista  da Monterosso, con due terziari.

 Il convento, che pure fu sede di Noviziato, divenne ricovero di mendicità…..”.

Alla chiesetta del convento si accede da un atrio, che immette, attraverso una porta ad arco, nella navata centrale, che è fiancheggiata da una navatella laterale a due archi, con alcune nicchie di Santi. Il convento comprendeva il cellario (13 celle), il refettorio, il parlatorio, la foresteria, la cànova ( dispensa), le stalle.

Dietro l’edificio c’era il Chiostro, un cortile contornato da portici, con un pozzo centrale protetto da una pregevole opera in muratura. Il parapetto del pozzo ( vera) è sormontato da un artistico arco per l’attacco della carrucola. Parte dell’edificio fu riattato alla fine dell’’800.

L’ultima presenza francescana a Simeri è stata quella del compianto patavino padre Nazario Marcato, dei frati minori conventuali, giunto in Calabria verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso come “missionario” della Pontificia Opera d’Assistenza, per assicurare il suo apostolato itinerante, attraverso la predicazione e la carità. Molti ricordano ancora, a Simeri come a Crichi,  “il formaggio giallo e la pasta” della Pia Unione, oltre che gli abitini a imitazione del saio monacale.

“Religioso di tanta santità e singolarissimo dell’umiltà” (G.Fiore, op. cit, tomo II, pag. 182) fu Fra’ Silvestro da San Pietro di Taverna , il quale visse 30 anni nel convento di Simeri, ove si faceva chiamare col nome del bandito Scarcella e dove mori, all’età di 90 anni, il 13 aprile 1653, giorno di Pasqua.

“La plebe e nobiltà corsero in convento, che tanto riempirono le strade, la Chiesa, il Chiostro, e guidati da impaziente sollecitudine di vederlo…alzarono fino al Cielo le grida, piangendo alla dirotta, e querelandosi di aver perduto il Padre, il Refugio, il Consuolo…corse gente armata a guardia de’ luoghi principali…Venne a visitarlo il popolo della Sellia,…monsignor Fabio Olivadisio..e da terra di Cropani vennero a visitare il sepolcro a piedi scalzi, non chiamandolo con altro nome che Beato”.

Del convento dei Domenicani si hanno poche notizie: sappiamo che fu edificato verso la fine del XV secolo, per volontà del conte Ayerbis, come “Casa della contemplazione e della predicazione”, ed aveva accanto la chiesa di Santa Caterina. Con l’alienazione dei beni ecclesiastici da parte della Cassa Sacra nel 1785, fu acquistato da privati cittadini e successivamente utilizzato a scopo di civile abitazione dalla famiglia Alfieri. Recentemente, a seguito degli scavi per la metanizzazione del paese, è affiorato un muro perimetrale e si è proceduto alla ricostruzione virtuale della configurazione planimetrica dell’edificio, consistente  nel chiostro, nelle strutture della vita claustrale, nella schola e nell’orto.

Dalle “liste di carico” della Cassa Sacra del riparto di Catanzaro risulta che il convento possedeva a Simeri una casa e 104 fondi, per un totale di 1.212 tomolate di terreno. Nella Relazione ad Limina del vescovo di Catanzaro, Nicolò Orazi, del novembre 1582 si legge:

“ Nella parte superiore del paese, che si chiama Vaglio, dove si trova collocata la più grande  delle 7 chiese e l’altare del principe ( Borgia)…v’è il monastero di San Domenico, in cui vi sono 5 sacerdoti…l’Associazione di Santa Caterina, che ha un proprio altare…,l’Associazione del SS Rosario e del Nome di Dio”. Dunque il complesso monastico di san Domenico di Guzmàn era sede delle due confraternite religiose di Santa Caterina e del SS Rosario, che rappresentavano anche “lo stato generale” della nobiltà locale e degli honorati che condividevano con i frati la passione per gli studi letterari, teologici e biblici

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Simeri, Laure eremitiche

 

In località  Pisica e Cutura esisteva già nel XV secolo una grancia del monastero basiliano di Santa Maria di Pèseca di Taverna, di cui si narra in modo dettagliato nel Liber Visitationis.

Il 28 gennaio 1458, il monaco del Monte Athos, Atanasio Chalcéopulo, per incarico di Callisto III, ispezionò il monastero di Peseca appurando che l’abate Andrea “ se ne stava nella grancia di Simeri e godeva brutta fama, non s’interessava del monastero e trattava male i due oblati “.  A conclusione della visita gli fu ordinato di celebrare l’Ufficio in chiesa a tempo debito e di abitare a Peseca (ora in territorio di Albi) almeno d’estate, “ d’inverno se ne può stare pure nella grancia di Simeri, ma non presso altre persone, per non dare adito a sospetti”.

Furono abati commendatari di Peseca: il vescovo di Catanzaro Giovanni Geraldini (1467-88), Nicola Francesco Marincola (1488-51), Giovan Michele Saraceno (1551-53), Ferdinando de Mendoza (1553-56), Annibale Saraceno (1556), il cardinale Fabrizio Spada (1717), il cardinale Giuseppe Firrao (1717-36) e D. Giuseppe Antonio Vitale (1736).

 Intanto Simeri – con le sue chiese e i suoi conventi  –  registrava un lento e inesorabile declino.

 

 

N O T E

 

(1)   G. Campanile, “Notizie di Nobiltà”, 1672.

(2)    “Il monastero di Santa Maria del Carrà e il suo scriptorium” (BAGG, Vol IX, 1955) e  “I monasteri basiliani del Carrà”, in Histoia, RC, 1953-55.

(3)   “Le liber visitationis d’Athanase Chalcheopoulos “, Laurent N.H.- Guillou A., Città del Vaticano, 1960, pag 97

(4)   Agazio Di Somma, marinista petrarcheggiante”, pag 34 e sg.

(5)   Agazio Di Somma, poeta lirico, vescovo e accademico

(6)   “Della Calabria illustrata, 1691. Il famoso cappuccino Cropanese ricorda tra le glorie di Simeri Giovan Fabio di Luca, di cui poco sappiamo: forse è da identificare nell’erudito domenicano del XVII secolo, Lettrore di teologia e socio dell’Accademia dei costanti.

(A S CZ, Intendenza, Simeri Crichi, Amministrazione, Carte)

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