«

»

BICENTENARIO della strage degli innocenti di Crichi (1809/2009)

Cronaca dell’eccidio del 1809

di Marcello Barberio

 

A fine luglio 1791, nella chiesetta di Crichi, a 6 miglia da Catanzaro, il cappellano perpetuo D. Francesco Mantia così (1) si  rivolgeva ai suoi compaesani, con l’omelia domenicale:

 “Carissimi fratelli in Cristo,

[…] grati salutiamo l’internunzio dell’utile Signore della Terra di Simeri, il signor Duca Giuseppe Barretta, Patrizio della città di Trani, di Mesagne e di Mantova e cavaliere dell’ordine Gerosolimitano, nonché i suoi Officiali, unitamente al Sindaco D. Michele Cundari, ai Decurioni, ai Reggitori di questo Casale, ai Deputati di salute pubblica, Felice Madia e Domenico Pileggi, al medico ordinario dottor fisico Pompeo Cundari, con i medici Corea e Sturno di Albi e di Sellia, che tanto si sono prodigati per la nostra comunità,[ …] durante i tristissimi mesi del morbo, […] Il nostro amatissimo Vescovo e Presidente della Regia Giunta di Cassa Sacra, che benevolmente si degnò, con Bolla del 29 giugno 1789, di elevare la nostra chiesa rustica alla dignità parrocchiale, sotto il titolo di San Nicola di Bari, confermando la mia persona alla cura delle anime […] di degnamente celebrare  una messa solenne di ringraziamento per la fine del terribile morbo della febbre carceraria  tifoidea di quest’inverno e di istituire un Vespro in onore del Patrono, con Sacro triduo in tempo di calamità, come sono pestilenze, siccità, carestie e alluvioni.

 image0001

                 Crichi, Chiesa matrice

 

 […] Per il pericolo che il morbo possa diventare colera, il Protomedico di Catanzaro ha inviato una lettera di precetti e cautele di vantaggio della pubblica salute,Ci ricorda che per la via della bocca possono introdursi i germi condensati dai perniciosi vapori e che i seminj malefici della malattia attaccano di preferenza i plessi addominali, provocando perforazioni ed emorragie intestinali e ingrossamento di fegato e milza.

Dobbiamo far decantare l’acqua di pantano e bollire quella da bere,[ …] pulire il tratto di strada della nostra abitazione, trasportare fuori paese i cumuli di materie putride e fetenti, cambiare spesso i lino dalle gambitte, fare lontano i bisogni corporali, meglio in una fossa a latrina. Inoltre, le acque di pubblici pozzi e fonti destinate all’uso degl’individuj e anche dell’abbeveraggio degli armenti, dovranno tenersi monde, senza lasciarvi colare e comunque permeare  o gettare delle sozzure ed immondezze, atte a contaminarle.

[…] gettare in luoghi aperti e remoti le conserve e i rifiuti pericolosi, come sono animali morti.

Nelle gibbie e nelle fonti non devono lasciarsi morire le sanguisughe, utili alla cavata del sangue e per allontanare il male, con l’acido vetriolico [. ] Lo speziale e la levatrice hanno ricevuto istruzioni per contrastare il morbo [ …] In tutta la Calabria Ultra, e nella Citeriore, domina una malattia degli eccessi venerei, detta sifilide: solo nella cattolicissima Catanzaro vi sono 9 lupanari e nessun dispensario. Si astengano […]Vi leggo la perizia del capitano del Corpo del Genio, l’ingegnere D. Claudio Rocchi, direttore del Ripartimento della Cassa Sacra di Catanzaro, sui ripari da farsi in questa nostro Tempio, che ascendono a ducati 482, grana 58 e calli 10, comprensivi del lastrico nuovo con pietra di Gimigliano. Il picciol campanile con le due campane alla maniera capuccinate deve essere spostato nella parte anteriore della chiesa, poiché i contadini non sentono i rintocchi e si perdono la messa e l’annunzio del vespro. Il carnaro sotto pavimento è l’unica sepoltura della chiesa ed è tanto pieno che non è suscettibile di altri cadaveri e la gente morendo si deve seppellire nelle vicine campagne. Noi suggeriamo di costruirne una nuova e più capace lontano dall’abitato, con l’ ampliare la sepoltura del vignale del romitorio della chiesetta rurale di Porticello. Il nostro Vescovo Spinelli ci autorizza a utilizzare gli introiti delle elemosine, le offerte dei fedeli possidenti, il beneficio del Monte dei Morti, le offerte degli Officiali della Confraternita del SS Sacramento di Sellia (come sono il dottor fisico e sindaco Giacinto Salerno e D. Nicola Lostumbo), i lasciti dei fittavoli dei mulini e dei boschi ducali.(2)

Ora [ ].raccomandiamo le anime dei morti dell’epidemia […](3)

A ricordo dello scampato pericolo del morbo epidemico e del terremoto del 5  febbraio 1783, che quasi risparmiò questo Casale, mentre mieteva vittime e provocava danni nei paesi vicini, istituiamo, col placet dei superiori, una processione votiva in onore del nostro santo Patrono San Nicola, da tenersi  in perpetuum alla terza domenica di maggio. L’introito sarà devoluto per la dote delle projette e delle fanciulle bisognose e pel mantenimento di giovani seminaristi locali. Infine […]. “

Qualche tempo dopo, il 6 settembre 1799, nella restaurata chiesa di Crichi, l’anziano parroco Mantia, con gran concorso di fedeli, accoglieva trionfalmente il nuovo feudatario dello Stato di Simeri, Soveria e Crichi, l’eccellentissimo barone D. Emmanuele De Nobili, con la moglie Donna Olimpia Schipani e col canonico decano del Capitolo Cattedrale di Catanzaro, D.Domenico De Nobili.

“[…] Il Barone prende possesso di questo Casale, jure proprio et in perpetuum, non per forza, ma per ogni migliore maniera, con tutte le sue Ville, Castello, ossia Fortezza e Torri, vassallaggi, rendite, angarj e parangarj di qualsivoglia sorte e condizione, Banco di Giustizia et omni moda giurisdizione e cognizione della prime e seconde cause civili, criminali e miste, mero e misto impero, Giudici, Baglivi e Officiali di qualsivoglia sorte soliti a crearsi, adoe, rilevi e censi, edifici, trappeti, molini,

 image003

                   F. Goya, Fucilazione del 3 maggio 1808

 

posture di olj, vigne, boschi, erbaggi, dogane, dazi, Portolania, pesi, zecca, laghi, fiumi, grazie e benefici, spettanti, tam de jure quam de consuetudine […] Dopo il canto del Tedeum, la corte si trasferirà all’altro Casale di Soveria, al casino della Petrizia e a Simeri, dove il castello è diroccato oramai dal tempo dal tempo del terremoto del 5 febbraio 1783, che rovinò l’antica Terra con la residenza ducale, le chiese di Santa Maria dell’Itria e di San Leone, il convento dei Padri Minori Cappuccini e l’ospedaletto di mendicità di San Giacomo.

Il signor procuratore dell’eccellentissimo signor duca Giuseppe Barretta, alla presenza del sindaco D. Fiore Longo e del clero tutto, consegnerà le chiavi dello Stato al nuovo signore[…]

Un pensiero commosso  va al Presidente Winspeare e all’Uditore della Regia Udienza, D. Angelo Fiore, che seppero serbare alla fede della corona del nostro amatissimo Re Ferdinando e della Regina Maria Carolina tutti i Casali vicini, ad eccezione di Taverna e Catanzaro, dove i giacobini piantarono l’infame albero della libertà. Cosa non riuscita da noi, per l’opera del Governatore D. Massimo Governa e per l’azione della squadriglia di volontari di Domenico Piperi, che seguì il Cardinale liberatore fino a Napoli, mettendosi infine al servizio del ministro dell’Interno Vincenzo De Filippis di Tiriolo (4) […] L’illustre barone mi ha comunicato la sua volontà di confermare nella carica il Governatore e gli appaltatori della Mastrodattia e della Bagliva e di concedere la grazia ai detenuti delle carceri di Soveria, con esclusione degli infedeli barbareschi catturati alla marina […] intende fortificare  la sorveglianza ai lidi del mare, con la formazione di una milizia urbana, a sostegno dei cavallari della torre di guardia della Petrizia […].”

Intanto nelle varie “cupe” continuavano a trovare rifugio le bande brigantesche, proseguendo l’indistinta protesta contro la lunga oppressione.

Briganti” li avevano definiti i Francesi del generale Championnet, a gennaio del 1799, quando avevano proclamato la Repubblica Partenopea. Ma “brigante è una parola quasi magica […] Chiamateli ribelli, se volete; ma questi ribelli non combattono il nuovo governo che per fedeltà all’antico; se fossero vittoriosi, essi vi chiamerebbero anche briganti?”, annotava Astolphe De Custine(5)

Uomini violenti e assetati di odi e di vendette, temuti e ammirati dalla popolazione, razziatori generosi, capipopolo e strozzini, delatori e partigiani: su di loro continua a interrogarsi la moderna  storiografia.

image002

         Crichi, Caserma delle Guardie Civili e poi dei Carabinieri

 

 Per certo il brigantaggio non fu un semplice e virulento fenomeno di delinquenza comune, nato e alimentato dal disagio estremo delle masse contadine, dalla miseria e dalle ingiustizie, e fomentato dai circoli borbonici e dai latifondisti in funzione di freno delle idee libertarie d’Oltralpe. Spesso i capimasse  erano alla testa dell’insorgenza realista  e dei Cacciatori di Carolina, distinguendosi per l’inaudita ferocia: così Francesco Muscato “Vizzarru”, Paolo Mancuso “Parafrante”, Angelo Paonessa “Panzanera”, “Fra Diavolo”, Giovanni Barberio “Occhidipecora”, Cicco Perri, Nicola Gualtieri “Panedigrano”, Geniale Versace Genializ, Francatrippa, Arcangelo Scozzafava Galano, Giuseppe Benincasa Viceré  e il  domenicano Padre Rosa.

Altre volte i loro cadaveri penzolavano dagli alberi dei viali dei villaggi, dai campanili delle chiese oppure le loro teste mozzate venivano messe in mostra dentro urne di vetro, come monito alle popolazioni del contado, che  “abitano in pianterreni privi di luce e di ventilazione[…] Grandi e piccoli, uomini e donne insieme all’asino e le galline”.(6)

Sull’impenetrabile rete di connivenze  – dei manutengoli e dei galantuomini  – così  proclamava nel 1809 il Consiglio di Calabria Ultra: “I ministri dell’altare han ben fomentata ed animata la rivolta e

il brigantaggio fra tutte le province, e specialmente nella nostra Calabria”.

Estate 1806: la Calabria era occupata dalle truppe di Giuseppe Bonaparte, mentre la corte borbonica era rifugiata in Sicilia. Il 29 giugno Fra Diavolo occupava Amantea e due giorni dopo il generale britannico John Stuart sbarcava nella piana di S. Eufemia con un corpo di spedizione di 3236 uomini (briganti e regolari anglo-borbonici) e 16 cannoni. Il 4 luglio, la colonna francese di 6112 uomini e 6 cannoni, al comando del generale Jean Reyner, tentava di ricacciare gli avversari in mare, subendo, però, una pesante  sconfitta: 500 morti, 300 feriti e 1.100 prigionieri, in gran parte briganti. Reyner batteva in ritirata verso Marcellinara e Catanzaro, mentre s’infiammava l’insurrezione antifrancese delle masse calabresi. Il 30 ottobre, 600 realisti piombavano sui Francesi a Pedace e giustiziavano in piazza 23 prigionieri, bruciandoli vivi, nell’orrore generale.

A Catanzaro, però, le truppe francesi conducevano “ una vita molto beata” –  Duret de Tavel: “Séjour d’un officier francais en Calabre”  –  “gli abitanti sono i soli in tutta la regione che usino cortesie verso i Francesi. Le donne sono celebrate come le più belle […] ci sono numerosi ricevimenti dove si suona e si fanno giuochi […] Fuori il brigantaggio solleva la sua testa odiosa e l’ignoranza e la barbarie sono le doti naturali del popolo. I Calabresi sono i selvaggi d’Europa!”.

Intanto, col nuovo ordinamento amministrativo napoleonico, il vecchio Parlamento a suffragio universale maschile veniva sostituito dal Decurionato, cioè da 10 Eletti possessori, che a maggio sceglievano il Sindaco e gli Officiali. Terminava la feudalità.

Estate 1809: con la spedizione anglo-borbonica nel Golfo di Napoli, si registrava una forte ripresa del brigantaggio in Puglia, in Irpinia e nella Calabria Ultra, dove il popolo “rozzo e primitivo” era  aizzato dagli “esosi padroni e dagli antichi vacui feudatari” (U. Caldora).Da una relazione dell’Intendente Giuseppe De Tomasis (ASN- Carte Carbone), risulta che i proprietari terrieri di Catanzaro avevano armato una colonna mobile di 100 uomini, per contrastare i briganti della Provincia, che imperversavano nei loro terreni e saccheggiavano mulini e trappeti :

“Terminata la guerra esterna si accese la interna, vasta quanto non mai ed orrenda. I briganti lasciati sopra terra nemica non avevano altra salute che vincere, e, per la simultanea loro entrata in tutte le province del regno, fu generale l’incendio. Quando le milizie assoldate erano state nei campi, e la civile a difesa della città, i briganti avevano dominato spietatamente nella campagna, e perciò, liberi e fortunati per due mesi, crebbero di numero e di ardire: formati in grosse bande sotto capi ferocissimi, una entrò in CRICHI, paese di Calabria, e dopo immensa rapina, fuggiti quei che per età robusta potevano dar sospetto di resistenza, vi uccisero quanti vi trovò, vecchi, infermi, fanciulli, trentotto di numero, tra i quali nove bambini di tenerissima età.”

Così riportava Pietro Colletta, in “Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825”.

strage

 Domenico Cefaly, La novella strage degli innocenti di Crichi del 1809

 

Giuseppe Poerio, Commissario straordinario del re in Basilicata e in Calabria, così riferiva il 4 luglio 1809 da Catanzaro al Ministro dell’Interno: “I briganti della scellerata banda di Bartolo, avendo incontrato nei legionari di Crichi la più eroica resistenza, sfogarono il loro furore immolando venticinque impuberi figli di questi bravi difensori della patria. Tale orrenda tragedia mi ha richiamato per brevi momenti in questa città, onde sistemare i mezzi più vigorosi di sterminio contro i mostri che si son tinti di  un sangue sì puro e sì innocente (Società di Storia Patria, XXX a.8, fascio 2252).

Alla pagina 37 del Liber Mortuorum (1793-1822) della parrocchia di Crichi, Don Francesco Mantia annotava i nomi delle vittime locali  massacrati “a brigantibus”: Francesco De Mare (a.62) e la moglie Barbara Giglio (a.65), Francesco Sacco (a.60), Nicola Chiarella (a.24), Costantina Zinzi moglie di Bruno Talarico (a.80), Elisabet De Fazio vedova di Nicola De Placido (a.70), Lucia Cimino moglie di Sebastiano Scozzafava (a.50), Liberto Muraca marito di Teresa Talarico (a.50), Domenico Terzo di Giuseppe (a.22), Teresa Pettinato vedova di Giovanni Moraniti (a.58), Antonio Deodato vedovo di Eugenia Sacco (a.80), Vincenzo (4 anni) e Maria (2 anni) Chiarella di Domenico  e di Caterina Pettinato […]:  supradicti reddiderunt anima Deo sine sacramentis  et corpora eorum sepulta fuerunt in Ecclesia Parochiali”.

Nei giorni successivi morivano altre 11 persone, confortate dal sacramento dei morti: Pasquale Mirante (22 anni) di Nicola, Rosa Cavarella (70 anni) vedova di Fortunato Durante, Domenico Zangaro (8 anni) di Vincenzo e Rosanna Terzo, Nicola Marincoli (60 anni) marito di Anna Madia, Saveria Perricelli (40 anni) moglie di Saverio Catizone (“in campanea redditit anima Deo morte subitanea”), Tommaso Giulino (40 anni) marito di Antonia Zangaro (“massacratus a brigantibus”), Elisabet (70) Talarico vedova Levato, Stefano Spanò (20 anni) di Francesco e di Saveria Perricelli, Margherita Pullano (40 anni)  pentonese, Saveria Pullano (45 anni) moglie di Nicola Sacco.

Verosimilmente i cadaveri dei Francesi (stranieri odeicasali di Maranise, Sorbo, Pentone, Magisano et civitaty Tabernarum) furono tumulati altrove.(7)

Nelle stesse “Carte Poerio” (ASN) vi è la lettera con la quale il ministro della guerra rispondeva in data 5 luglio ad analogo rapporto del Commissario, confermando le notizie della strage.

Nelle “Carte Carbone” (ASN. fascio 1310), allegato al decreto di Gioacchino Murat (Monteleone,10 agosto 1809) contro le “masse”, è allegato un foglio firmato dal generale Cavaignac e dall’Intendente Giuseppe de Thomasis, contenete l’elenco dei seguenti capimassa da catturare ad ogni costo:[…]

Il  numero 352 del Monitore Napoletano del 12 luglio 1809 riportava:

“Da ulteriori notizie che il governo ha ricevuto […] infelicemente rileviamo che i 3000 Inglesi furono preceduti nello sbarco e seguiti nella loro fuga da varie orde di briganti, vomitati in vari punti da legni inglesi. Non è possibile ridire gli eccessi di questi cannibali. Dopo aver violato l’onore di quante donne potettero avere tra le mani, dopo aver portato dappertutto il sacco, il ferro e il fuoco, questi mostri della specie umana si abbeverarono in CRICHI, casale distante 6 miglia da Catanzaro, del sangue di 30 infelici fanciulli, che scannarono e gettarono nelle fiamme nel dare l’ultimo addio a una terra che li aveva in gran parte visti nascere.(8)[.. ] I fatti avvenuti in queste occasioni sono sì atroci, che il generale Stuart ha sentito la necessità di scusarsene in faccia all’Europa, proclamando che esso non ha mai autorizzato un piano di guerra sì orribile”

Il Monitore Napoletano era un periodico bisettimanale fondato e diretto da Eleonora Fonseca Pimetel, espressione di un giacobinismo intransigente (9)

 

image004

                                                     Liber Mortuorum della Parrocchia di Crichi, pag.37

 

La  Gazzetta Britannica, invece, non mancò di esaltare l’oculatezza del governo di Messina, cioè del generale sir John Stuart, del quartiermastro generale Coffin, di Ferdinado IV di Borbone e di sua moglie Maria Carolina d’Austria., criticando la coscrizione obbligatoria nelle file di un esercito stimato straniero e la particolare severità della Commissione Militare francese  nel giudicare i responsabili degli eccessi e i semplici sospettati locali, non implicati direttamente nella vicenda.

Gioacchino Murat ordinava l la confisca dei beni dei briganti condannati a morte: solo in quell’anno ne venivano fucilati 310, “ a vendicare (con la rude etica del taglione) i Mani degli infelici morti di […] Pedace,[ …] di Crichi […] di Strongoli, di Reggio e le atrocità dei popoli barbari” (10)

Nell’Archivio Borbone, nella Segreteria Antica e soprattutto nei tanti manoscritti inediti della Bibliothèque Nationale de Paris (It. 1.124 e altri) restano sepolti eventi e drammi di un popolo che la letteratura romanzesca e di viaggio definiva barbaro e primitivo.

“Belve umane, i briganti giunsero al sacrificio di 25 bambini figli dei bravi legionari di Crichi, vera nuova strage degli innocenti, che ancora oggi fa salire dai nostri cuori un grido di protesta, che fa eco alla voce commossa ed eloquente di Giuseppe Poerio, il quale sorse ad accusare e condannare, in nome dell’umanità offesa”, concludeva Angela Valente, in “Gioacchino Murat e l’Italia meridionale”.

Il compianto pittore Domenico Cefaly  – autore nel 1984 della pregevole tela custodita nella sede municipale di Simeri Crichi  –   così  ha “spiegato” la sua opera:

“in primo piano, i colori accesi dai riflessi lunari vogliono esaltare la connotazione realistica delle passioni primordiali degli attori, fotografando i lugubri ceffi degli assalitori invasati e il sangue che schizza macabro dal “caput mortuum”; sullo sfondo i toni bassi e scuri provano a nascondere alla vista l’azione del drappello di cavalieri inglesi al galoppo nelle retrovie, mentre, in basso, il cane macilento, il barile vuoto, la vozza, il paniere di frutta, il vancale e il fiore bianco incontaminato testimoniano la caducità della vita e dei beni materiali, in una sorta di quadretto espressionista autonomo”.

image006

Rosaria Canino David , fontana Angeli di Piazza  Martiri

 

Nella statua-fontana degli “Angeli di Piazza Martiri”, Rosaria Canino David non ha inteso rappresentare il pathos e il realismo dell’eccidio –  come nella tela di Cefaly –  bensì la rinascita degli innocenti, i cui corpi sorgono dall’acqua e, attraverso la figura materna, “ascendono al cielo”.

Altri artisti hanno ripreso il tema dell’endemicità del fenomeno del brigantaggio meridionale e della sua recrudescenza dopo la delusione del passaggio di Garibaldi e il “tradimento” dello Stato unitario, dell’”ultima plebe di cui son bassi, non uditi i lamenti” (Ilario Principe, da P.Colletta).

“Chi sono i briganti? Ve lo dico io, nato e cresciuto tra essi! Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d’uomo, non ha farmachi, non conosce pan di grano né vivanda di carne […] quando non si accomuni con le bestie a pascere le radici che gli dà la terra matrigna […] non possiede che un metro di terra in comune al camposanto! […] Il contadino, non possedendo nulla, […] allora (oh, io mentisco) vende la merce umana; esausto l’infame mercato, piglia il fucile e strugge, rapina, incendia, scanna, stupra, e mangia.[…] In fondo, nella sua idea bruta, il brigantaggio non è che il progresso o, temperando la crudezza della parola, il desiderio del meglio.[…] Si facciano i contadini proprietari […] e il fucile scappa di mano del brigante!”(Benedetto Croce).

Purtroppo neanche l’agognata riforma agraria è riuscita ad affrancare le popolazioni rurali calabresi e meridionali dalla schiavitù del bisogno e dalla chimera della “terra a chi lavora”.

N O T E

 (1) Omelia “rieditata” con dati dell’AS.CZ: Cassa Sacra- Segreteria Pagana: Cartella 42, Fascicolo 894 (ristrutturazione chiesa e campanile)  e cartella 896 (epidemia)

(2)A.S. CZ: Cassa Sacra, R.Udienza: Cartelle B51- F157/11- D160/12 – G 194 e altre: nomi dei fittavoli di Crichi,del XVIII secolo: Gioacchino Dolcimo (Bosco di Simeri), Vittoria de Fazio (mulino ducale); terreni a pascolo detenevano Antonio Mirante, Bernardo Giulino, Francesco Diodato…. Dai Libri parrocchiali di Crichi risultano i seguenti matrimoni: Francesco Coppoletta e Antonia Deodato, Francesco Barbuto e Diana Lopez (genitori di Nicola, in seguito, nel 1839, prete delatore di L. Settembrini), Francesco Altavilla e Caterina Praticò, Giuseppe Rubino e Maria Loprete, Nicola Capicotto e Rosa Veraldi, Giuseppe Mantia e Vittoria Pugliese, Pasquale Giulino e Caterina Pugliese, Nicola Pugliese e Anna Perricelli, Nicola Giulino e Concetta Lopez, Antonio Vono e Saveria Perricelli, Pasquale Vono e Studia Alfì, Francesco Poerio e Lucrezia Claudio, Giuseppe Ferrarello e Angelita Levato, Giuseppe Scalzo e Clorinda Scozzafava).

(3) Maria Diodato, Ippolita Diodato, Paolo Diodato, Anna Poerio, Domenico Poerio, Antonio Poerio, Francesco Poerio, Lucrezia de Placido, Vittoria Poerio e due figli, Domenico Radò, Antonio Radò, Mariuzza Poerio….

(4) Giustiziato a Napoli il 28.11.1799.

(5) Mémoire et voyages ou Lettres écrites à diverses époques, pendant des corse en Suisse, en Calabre, en Angleterre, et en Cosse”, Paris, 1830.

(6) Così scriveva, in seguito, Cesare Lombroso, “In Calabria”.

(7) Nel Libro dei Morti (dal 5.6.1793 al 15.4.1822) sono registrati 775 sepolture (su una popolazione stabile di 780/800 abitanti), di cui 361 bambini; nel decennio 1801-1810 i morti risultano 295, di cui 154 bambini; nel solo 1809 furono registrati 56 morti, di cui 28 bambini (25 deceduti durante o dopo l’eccidio di luglio). Nel 1811 è registrata la morte di una zingara di 30 anni.  Si ha memoria e documentazione civile della presenza “quasi stanziale” di 3 famiglie Rom, fino agli anni ’50 del secolo scorso: conservavano le loro tradizioni e parlavano tra di loro nella loro lingua ròmani-vlac, esercitavano il mestiere di calderaio-forgiaro, facevano battezzare i loro figli da padrini locali e mostravano una “compatibilità sostenibile” con i Gagé di una comunità in costante crescita demografica, per effetto delle immigrazioni dai paesi presilani e del saldo attivo Battesimi/Morti. (mediamente 25/15).

(8)  La cartella 1061 – Intendenza – Ammnistrazione- AS CZ – contiene un’indagine  sulla popolazione di Simeri (535 abitanti, 12 preti, 70 agricoltori, 6 artieri, 8 proprietari non travagliatori) e Crichi (783 abitanti, 2 preti, 80 agricoltori, 5 artieri, 0 proprietari non travagliatori) del periodo francese e riporta i nomi dei briganti del luogo: Cosimo Mustara e Vincenzo Alfì di Simeri, Tommaso Coppoletta di Crichi (al seguito della corte borbonica a Messina dal 1807) e Agostino Talarico di Crichi (affiliato alla banda di Tiriolo, quella incaricata dell’eccidio dei figli dei legionari “francesi”). Crichi – che nel catasto onciario del 1741 annoverava 40 casolari – contava già 234 case: cfr AC Usi Civici CZ: Simeri: Verifica e descrizione dei demani; Grande Archivio di Na: Catasto Onciario : Simeri – 1741

(9) Presso l’Archivio Storico di Napoli è conservata la collezione del ” Monitore Napoletano”  dal 1.3.1806 al 1.9.1811, quando venne fuso col “Corriere di Napoli”. La collezione completa della “Gazzetta Britannica”, pubblicata a Messina dal 1808 al 1814, è custodita presso la Biblioteca di Palermo

(10) Carte di Casa Reale, Fasc. 1312- A Strongoli  diversi prigionieri francesi furono fatti a pezzi e la loro carne data in pasto ai commilitoni ancora  superstiti, fino alla loro completa estinzione.

vai a Pagina Uno